Pubblichiamo l’articolo de La Stampa per la presentazione della mostra a Trieste su Almerigo Grilz, primo inviato italiano di guerra morto in prima linea dopo la seconda guerra mondiale
Per chi da cronista frequenta le prime linee e ha il privilegio di raccontarle, il sibilo di un proiettile viene definito sovente come il “soffio della morte”. Per chi come Almerigo Grilz alle prime linee ha dedicato se stesso sino all’estremo, il sibilo del proiettile coincide con l’ultimo frammento della sua stessa vita. Almerigo Grilz, che in questo blog abbiamo già ricordato alcuni anni fa, è per le cronache il primo giornalista italiano morto su un fronte di battaglia dal Secondo dopoguerra. La sua avventura da reporter di guerra è quanto mai intensa e ricca di testimonianze uniche. Un’avventura spezzata dal sibilo di una proiettile dalla traiettoria infame che il 19 maggio di trenta anni fa lo ha raggiunto alla nuca. Proprio mentre impavido filmava in presa diretta una cruenta scena di battaglia di uno dei tanti, forse troppi, conflitti dimenticati, combattuti per procura su indicazione delle superpotenze che decretavano le sorti del Pianeta a prescindere dalla volontà dei popoli. Ed era questa la missione di Almerigo, ricordare le guerre dimenticate e riportare l’attenzione sulle vicende dei popoli, ancor prima di chi li governava.
Ricordare appunto. A ricordare oggi Almerigo Grilz è un’esposizione fotografica unica in Italia con immagini in prima linea dal 1982 al 2017, dalle guerre di ieri ai conflitti di oggi in Libia, Siria e Iraq. Una galleria che venerdì 19 maggio si apre al Civico Museo “Diego de Henriquez” di Trieste, in via Cumano 22, dal titolo “Gli Occhi della Guerra” alla cui inaugurazione alle 18.30 sarà presente l’assessore alla Cultura del Comune di Trieste Giorgio Rossi. La mostra “Gli occhi della guerra”, oltre alle foto scattate da Almerigo nel corso della breve, ma intensa attività in Afghanistan, Etiopia, Filippine, Mozambico, Iran, Cambogia e Birmania, comprende quelle realizzate dopo la sua morte dai suoi amici e compagni d’avventura Fausto Biloslavo e Gian Micalessin che ne sono curatori. Un’esposizione completamente rinnovata con novanta pannelli su 35 anni di reportage, dall’invasione israeliana del Libano nel 1982 fino al caos della Libia, con l’assedio di Sirte, la terribile guerra in Siria e la sanguinosa battaglia di Mosul. La mostra fotografica è stata inserita nel percorso museale della collezione “Diego de Henriquez” e rimarrà aperta fino al 3 luglio. Accanto alle foto scorrono i video servizi dei reportage di oggi sui Paesi senza pace come Afghanistan, Siria, Libia, Iraq. Dell’esposizione fa parte anche una selezione delle pagine più significative delle agende che il reporter utilizzava per annotare con precisione ogni momento dei suoi reportage corredando il tutto con disegni e mappe dettagliate. La futura vocazione e la passione del giornalista emerge pure dalle pagine dei “Diari del giovane Grilz” in cui un Almerigo adolescente disegnava scene di battaglie storiche e descriveva gli avvenimenti della sua Trieste.
E’ il 19 maggio 1987 quando Grilz è al seguito dei guerriglieri della Renamo che si oppongono ai filosovietici della Frelimo. E’ una delle tante guerre dimenticate, ma dove l’Italia è presente con la Brigata Julia nella prima missione militare del Paese dalla Seconda guerra. Amerigo sta filmando un attacco nell’ex zuccherificio della città di Caia. Il primo assalto viene respinto dai governativi e i ribelli ne provano un secondo. Anche questo tentativo non va a buon fine. La guerriglia della Renamo è costretta alla ritirata. Almerigo è con loro in prima linea e continua a filmare, quando, all’improvviso, una pallottola lo colpisce alla nuca. È il primo giornalista di guerra italiano a cadere su un campo di battaglia del Dopo guerra, forse il più ignorato e dimenticato dai grandi media, nonostante il suo patrimonio di testimonianze uniche. Nel 1982 documenta l’invasione israeliana in Libano. Nel 1983 si avventura per la prima volta nell’Afghanistan occupato dall’Armata rossa, dando vita all’Albatross Press Agency, agenzia di reporter freelance. Nel 1984 va in Cambogia e segue il conflitto tra la guerriglia e le truppe governative appoggiate dal Vietnam. Nel confine thailandese-birmano infiammato dai combattimenti tra i guerriglieri Karen e gli uomini della giunta militare di Rangoon, c’è ancora lui. Nel 1985 racconta la guerra tra Iran e Iraq. E poi ancora in Afghanistan, nelle Filippine con i ribelli comunisti, in Angola al fianco dei guerriglieri dell’Unita e in Etiopia. Nel 1986 è il primo giornalista al seguito della Renamo in Mozambico, dove torna nel 1987, per la sua ultima missione. Gli uomini della resistenza nazionale, guidati da Afonso Dhlakama, dopo un giorno e mezzo di cammino lo seppelliscono vicino ad un grande albero, dove ancora oggi riposa. Nel 2002 un manipolo di colleghi e amici si reca in Mozambico per scoprire dove era stato sepolto Grilz. Ci riescono e realizzano un toccante documentario: “L’albero di Almerigo”.
Per chi come il sottoscritto non ha avuto modo di vedere Almerigo “in azione”, per motivi anagrafici e geografici, sembra in qualche modo di conoscerlo e di averne ben presente il grande contributo che ha dato al giornalismo di prima linea. Una delle poche forme di racconto professionale che, se fatto nel rispetto della sua più intima essenza, è ancora immune dalla massificazione e dalla omologazione della notizia figlia di un certo progresso che violenta anziché elevare. Quel ragazzo alto con la mimetica cucita addosso, i Ray Ban e la barba, e la cinepresa imbracciata come un bazooka della notizia, quel ragazzo che posa con la stessa naturalezza di uno scatto di famiglia accanto ai combattenti del reportage di turno e che sembra trovarsi assai meno a suo agio in uno studio televisivo, ebbene quel ragazzo mi sembra di conoscerlo. E questo non solo per l’enorme patrimonio multimediale (Grilz è stato un pioniere di questo concetto ultracontemporaneo) raccontato e ricordato nella mostra di Trieste. Ma anche perché i suoi più stretti amici, fratelli è il caso di dire, lo ricordano costantemente, ovunque e con chiunque. Così come dovrebbe essere fatto per ognuno dei 13 colleghi che nelle zone di guerra hanno perso la vita, animati dalla passione che offusca finanche la brama di gloria. Perché ognuno di loro possa essere tra noi “presente”, in eterno. A partire da Almerigo Grilz. (da La Stampa)