Alla fine c’è sempre lui al centro dell’universo, almeno quello angusto e piccino della politica italiana. Silvio Berlusconi torna a guadagnare una posizione strategica e da lì ha in mano il pallino del gioco. Le alternative sono due: l’inciucione istituzionale, oppure il sanfedismo salvin-meloniano. La chiave del problema, quella vera, è ancora un’altra: c’è (e dove sta?) la possibilità di vincere e governare?
Chi crede che il capo di Forza Italia deciderà con il cuore si sbaglia di grosso. Non perché sia un uomo incapace di sentimenti, anzi. Ma perché questa può essere l’ultimissima chance per Berlusconi di rientrare a Palazzo. Intanto lui, in un’intervista rilasciata al Foglio, tiene a sottolineare che su un’unica cosa non ammette dubbi: “Noi lavoriamo per la vittoria del centrodestra”. Attenzione, ché le parole sono importanti.
Centrodestra, tanto per cominciare. E non destracentro come con orribile neologismo alcuni osservatori descrivono un rassemblement a (ipotetica) guida leghista (nel senso di Salvini). Vittoria, che non è parola innocente. Berlusconi, imprenditore, uomo del fare (espressione, se possibile ancora più odiosa del politichese contemporaneo) non gioca tanto per partecipare, né per sperare di strappare una rappresentanza, una pattuglia di fedelissimi alla Camera o al Senato. Lui vuole governare.
Per farlo, citando ancora l’intervista di cui prima, riciccia la ricetta di sempre: “Carattere fondamentalmente liberale, cristiano, riformatore, convinto che l’Europa debba cambiare ma europeista nell’ispirazione di fondo. Altrimenti si fa la fine del Front National: tanti voti senza possibilità di vittoria”. Per dirla calcisticamente, meglio Oronzo Pugliese che Zdenek Zeman. Meglio vincere che giocar bene e perdere.
Politicamente hanno un senso importante le affermazioni del Cav. Niente stravolgimenti, nessuna cordata rivoluzionaria, niente armamentari post-ideologici: bisogna rassicurare tutti, impersonarsi nei vincenti (come Macron) e poi esorcizzarli (la sua “bella mamma”). Gli elettori vogliono tranquillità, e ne vuole pure la Merkel che elegge a modello nella capacità di assumere anche scelte impopolari quando siano sagge.
Ciò taglia fuori, almeno all’apparenza, ogni speranza di contatto con il movimentismo della Lega salviniana, appena uscito trionfante dalle primarie contro Fava (e Maroni-Bossi). Non è un mistero che Berlusconi soffra chiunque possa fargli minimamente ombra e che tutti i suoi delfini abbiano fatto la fine del tonno, inscatolati nell’irrilevanza elettorale (da Alfano a Fini, per dire). Stavolta, però, c’è una differenza: quello che era il popolo dei moderati, quelle che erano le masse di elettori anticomunisti che riempivano le urne di suffragi azzurri, oggi non sono più tanto disposti a sentir parlare di compromessi, di responsabilità nazionale, né tantomeno a prendere esempi dalla Merkel.
Sarà una bella sfida, l’ultima (quella decisiva) di Silvio Berlusconi.