Nell’Europa martoriata dalla perduta coscienza di sé stessa anche i piccoli gesti sono un tassello in più nella difesa delle nostre comunità. Viene da pensare proprio a questo guardando ai territori che si svuotano e perdono fiducia, mentre la politica, oramai pressoché liquida ed evanescente, arretra sempre più. Della politica per la persona ci accorgiamo che sono rimasti pochi strenui referenti, mentre attorno a noi assistiamo alle rovine dell’uomo, del popolo della civiltà, niccianamente parlando.
La Sardegna, terra forte e orgogliosa, da tempo scopre di aver perso quel guizzo che la caratterizzava. La denatalità sta piegando le comunità, mentre l’economia soffre. È per questo che quel curioso esperimento che si sta concretizzando nel piccolo comune di Serri, 655 abitanti nella provincia del Sud Sardegna, rappresentato da una lista che presenta i candidati a sindaco e a consiglieri comunali, vuole essere avanguardia, tenace e lungimirante, per tutti i piccoli comuni sardi entro i prossimi due anni.
La lista si chiama Terra e Tradizione, e tutto vuole essere fuorché uno strumento esclusivamente elettorale. Un ritorno alle origini, la persona, l’incontro, il servizio come priorità; le alchimie politiche infruttuose da un’altra parte. Ecco, un ritorno alle origini accompagnato da una politica vivace e netta. Questo è il succo di tutto. Un servizio che si fa umile, parte dal basso, guarda alla terra, che ci dà da vivere, non senza il sudore e l’abnegazione. Una terra bistrattata, spesso umiliata e svenduta. Una terra non amata, ma il più delle volte bramata per interesse, regalata e relativizzata. Si rilegga Chesterton, geniale e lungimirante, che ammetteva:
“in epoche caratterizzate dal predominio incontrastato degli ideali di potere e di civiltà più arroganti e complessi, l’ideale del contadino perfetto rappresentava, senza dubbio, in una forma o nell’altra, il concetto che nella semplicità e nella fatica c’è dignità”.
Che bella questa immagine dell’uomo, devota e lavoratrice, non oppressa dal peso del dovere perché deve, ma dal dovere perché libero e devoto.
Ecco, rimarcare la Terra è anche questo. Sottolineare il giusto rapporto tra l’uomo e il mercato, tra la terra e il cielo. Quel cielo che oggi soffre, oppresso dall’appiattimento della errata libertà, incentrata ormai solo in una spietata ricerca dell’indipendenza, così meschina che si va a dimenticare l’altro, il vicino, l’uomo a fianco. Non può pertanto la materia slegarsi dalla spiritualità della vita che rischia, sempre più, di apparire più come un disturbo che come una risorsa. E chi si pone al servizio dell’altro, come può prescindere da questa consapevolezza?
In che modo il lavoro si riappropria del suo essere autentico, non il lavoro perché lavoro, e quindi schiavitù, ma lavoro perché libertà, in quanto concreta devozione e amore. In questo anche la Tradizione, la poesia eterna, quindi senza un ieri e un domani, ma in un costante oggi. La Tradizione è nobile, è – anche – un patrimonio eterno che arricchisce, parafrasando Eliot, il talento individuale. L’Io di oggi non si può slegare dall’uomo di ieri, pena un’incomprensione totale di sé stesso e del suo ruolo nel mondo. Una Tradizione che conserva la fiamma, non che adora le ceneri. Ecco perché Terra e Tradizione si incontrano e si completano, e possono realmente dare qualcosa di più alla politica. Ecco perché il conservatorismo, se umano e nobile, può realmente donare non solo all’altro, ma alle comunità in generale, quelle dei campanili dimenticati e delle terre incolte, una libertà vera, sovrana e umana.