E seguitiamo l’arte che fugge. Così per parafrasare Ariosto. Per inseguire un’idea dell’arte mai ferma. Per incontrare leggerezze, fughe in avanti, la total freedom dell’artista contemporaneo; il quale, sempre e comunque, prova ad allargare l’idea dell’arte, ampliarla all’infinito. Quando viaggiamo verso la Biennale non sappiamo se ritorneremo criticamente rimotivati oppure felicemente confusi. Il mondo della creatività è smisurato: contiene tutto, monta e smonta tutto, mentre la 57° Biennale non desidera montare una specifica narrazione, anzi prova a liberare il suo racconto in ogni dove.
Negli appuntamenti in laguna degli ultimi anni, pur nella varietà delle narrazioni artistiche, abbiamo assistito o all’escalation creativa digitale o alle rappresentazioni neo-ideologica della realtà (chi ricorda le letture veneziane del Capitale di Karl Marx nel 2015?). Con la cura di Christine Macel e la presidenza di Paolo Baratta, la Biennale prova oggi ad esprimere la libera direzione, l’impossibilità di creare corrispondenze, in quanto l’arte vive gaia e individualistica, vive attraverso la soggettività performativa dell’artista, ma al meno vive.
La Biennale 2017 Viva arte Viva indica esperienze che, tra l’Arsenale e i Giardini, costruiscono metafore contemporanee, come nel Padiglione/gabbia tedesca di Anne Imhof accerchiato di cani dobermann; come con gli assemblaggi di merce nel delirio consumistico del ‘Supermaket’ di Hassan Sharif; come per il gocciolamento dell’inchiostro su una sfera/mondo di Takesada Matsutami; un capogiro concettuale, segnico, performativo – faticosamente sintetizzabile – e rinchiuso dentro ottantasei Padiglioni nazionali.
Dinanzi a ciò Vittorio Sgarbi dichiara che l’appuntamento veneziano 2017 appare una “esposizione più infantile e senza drammaticità”. Forse non emerge un’intensità drammatica se la manifestazione mette al centro l’artista, le sue abitudini: come dorme l’artista, come usa l’uncinetto,.. E il suo contatto con il pubblico – sino al pranzo, ‘Tavola aperta’, con chi ha prenotato un incontro – è un’iniziativa che comunica un vissuto senza distanze tra artista e pubblico, per una libera vicinanza al tempo del web democraticissimo.
Contatti ed installazioni. Contrasti tra tradizioni orientali e aggressioni consumistiche. Nel Padiglione della Corea, da una parte le tigri fosforescenti dell’immaginario popolare, dall’altra i motti ‘Free orgasm, Free Peep show, Free Narcissistic people disorder’. All’opposto, il Padiglione della Svizzera appare evocativo con l’Omaggio ad Alberto Giacometti, con strutture lineari o sagome colorate di Carol Bove, Therese Hubbord, Alex Bircheler. Un uso felice della geometria che si ritrova anche in Rasheed Araeen, grazie a dei cubi che vengono movimentati per costruire barriere, reticoli, paradossali anarchie geometriche.
Centoventi artisti. Esplosioni di fughe iconiche. Performances tematicamente distanti una dall’altra. Cinquantamila visitatori attesi. La rassegna internazionale veneta è il riflesso di una contemporaneità dell’arte vivace, contraddittoria, nella quale pare che tacciano le filosofie e risuoni solo un sintagma esclamativo, ovvero il suo titolo. Quel che fa riflettere è il dato per cui gli artisti italiani sono in numero limitatissimo: Salvatore Arancio, Ciacciofera Michele e il più storicizzato Riccardo Guarnieri, che, con i suoi sublimi acquerelli, dona una tonalità lirica alla smarrita cifra artistica nazionale; pur con la brava, Cecilia Alemani, espressione di una generazione internazionalizzata, la curatrice del Padiglione Italia.