Hanno corso tantissimo, oggi, i link che celebravano quel giorno lontano in cui carneade milanista Gianni Comandini si trasformò nel più tremendo castigatore dell’Inter. Lo 0-6, quello del “Guarda il Tabellone” rifilato ai nerazzurri ai tempi di Tardelli in panca. Oggi il Milan si ritrova a far i conti con se stesso. E mentre scivolano via gli ultimi scampoli dell’ennesima stagione al ribasso, i cuori rossoneri temono la prossima estate. Ecco i tre incubi ricorrenti, ormai da troppo tempo, che turbano i sogni milanisti.
Tanto rumore per nulla?
Arrivò, finalmente, il closing. La società ha un proprietario, è stabile e può iniziare a programmare il futuro. Fino al contrordine. Tanti, troppi ne son piovuti tra capo e collo di squadra e tifosi per farli sentire definitivamente al sicuro (almeno per un po’). Il tamburello delle responsabilità, il ping pong tra notai e dirigenti, sulla via della Seta che collegò Arcore prima alla Thailandia poi alla Cina. Senza stabilità non si può programmare e oggi (ma pure ieri, proprio il Milan berlusconiano ne è un esempio scintillante) è necessario recuperare il tempo perduto e cominciare a ragionare sul futuro. E dare fiducia agli allenatori.
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Salvate (almeno) Montella.
Il Milan in un pugno di stagioni ha bruciato tanti allenatori che manco in tutti gli anni più belli del Milan. Son passati da Milanello prima Clarence Seedorf (eppure i tifosi l’avevano avvertito, Silvio) , poi è arrivato Pippo Inzaghi. Quindi si sono susseguiti Sinisa Mihajlovic e oggi (per molti) trema pure Vincenzino Montella, uno degli allenatori più interessanti e incensati degli ultimi anni. Dice un saggio opinionista di reti locali meridionali che è inutile incaponirsi: l’allenatore non gioca, anzi sarebbe meglio abolirlo e sostituirlo con un impiegato comunale. Questo per dire che non è sempre giusto che paghi per tutti (o per tutto) l’allenatore.
Evitare Porta Portese.
Il nodo centrale è sempre la squadra, i calciatori. Andate sui siti milanisti e spiate un po’ quanto nostalgismo ci sia. Non è colpa della moda, è (de)merito di troppe delusioni, troppe illusioni. Dall’attacco (Bacca a singhiozzo, Lapadula stramazzato dalle responsabilità, Deulofeu funambolo ma troppo incostante) fino alla difesa (Vangioni, questo Paletta, questo Zapata e l’eterno indeciso De Sciglio? Sul serio?). L’unico che è all’altezza del blasone del club è Gigione Donnarumma, che ha avuto il battesimo del fuoco con Mihajlovic e ha fatto la sua stagione da titolare come l’ultimo dei Mohicani, ultima barriera contro lo strapotere avversario (la lezione a domicilio da parte della Roma insegna). Senza programmazione e investimenti e senza portarsi in casa qualche campione che abbia il carisma giusto per ricordare al Milan il suo Dna vincente, non si farà che ripetere l’ennesimo sfacelo.