Delusione e sollievo non sono parole della politica. Chi ha lavorato alla crescita del consenso per Marine Le Pen, ma più ancora al consolidamento di un partito come il Front national – che viene da molto lontano ed ha visto il suo elettorato crescere attraverso decenni di coerenza nella trasformazione – non trova certamente “deludente” un risultato che ha visto più di un terzo dei votanti schierarsi a favore dell’unica lista “anti-establishment” in una partita che era sin dall’inizio un “Uno contro Tutti” (o piuttosto Tutti contro Uno).
I collaboratori di Marine Le Pen non hanno mai nutrito l’illusione di vincere al secondo turno. Volevano arrivare il più vicino possibile al 40 per cento e sperano di confermare il risultato alle legislative del prossimo giugno, così da rafforzare la propria rappresentanza parlamentare malgrado l’assurda legge vigente in Francia che utilizza – come alle presidenziali – il filtro del doppio turno per riunire elettori con posizioni inconciliabili in un voto contro chiunque sia l’outsider del momento, al fine di garantire il mantenimento dello status quo.
I guai sono per repubblicani e socialisti francesi: ora spazio all’algoritmo Macron
Tutti gli altri – quelli che pur non avendo nulla in comune hanno fatto massa per scongiurare il “pericolo” di un’affermazione della Le Pen – hanno poco da cantare vittoria. Il “sollievo” generale, che si leggeva nei volti di tutti i commentatori e ospiti televisivi attraverso l’intero mondo occidentale (sollievo per aver evitato – nella loro visione – un nuovo effetto Trump) è un sentimento di scarsa tenuta.
Va da sé che i responsabili dell’ennesimo fallimento della destra gollista e i curatori fallimentari del vecchio partito socialista, dovranno fare ben presto i conti con la loro “impresentabilità” alle prossime elezioni. Intorno a Macron si stanno agitando gli esperti di comunicazione per costruire, su di un fenomeno del tutto accidentale, l’illusione di un “nuovo che avanza” che alle prossime legislative possa presentarsi come una reale formazione politica. Un’operazione a credibilità zero.
L’ultima emergenza politica affrontata dal fronte repubblicano per fugare il pericolo di una vittoria lepenista ha creato la bolla Hollande, che solo i commentatori politici italiani avevano finto di scambiare per una specie di Obama continentale che avrebbe dato nuovo sprint alla sinistra, un bluff durato meno di un anno dopo la sua elezione.
Hollande era stato il fantoccio gonfiato artificialmente per bloccare la porta e impedire al Front national di entrare nel palazzo. In piena crisi di credibilità cercò lui stesso di ri-legittimare l’ex concorrente Sarkozy pur di frenare l’avanzata della Le Pen. Macron è la stessa scialba cosa. E in Francia lo sanno tutti.
Nessun effetto Le Pen in Italia: ogni popolo è artefice dei suoi successi
Trovo sorprendente il fatto che, in Italia, proprio quelli che maggiormente fanno riferimento all’identità nazionale e alla specificità dei popoli e al loro diritto di autodeterminazione, guardino ai fenomeni politici delle nazioni limitrofe con atteggiamenti così carichi di aspettativa e delusione. Pensare che la vittoria altrui possa determinare per un effetto puramente virale la propria, ha come ovvia conseguenza lo scoramento nel caso questo miracolo non si realizzi.
Chi pensava che la vittoria della Le Pen potesse avere come logica (o piuttosto illogica) conseguenza un cambiamento radicale dell’orientamento elettorale degli italiani, oggi si dispera vedendo infranta un’illusione che, pertanto, era solo un’illusione. Ogni popolo, ogni partito, ogni personalità politica è artefice dei propri successi e delle proprie sconfitte.
Sarebbe già un passo in avanti – o almeno un segnale di capacità di iniziativa – smettere di piratare le definizioni politiche adottate da altri e in contesti molto diversi, definizioni che funzionano nelle lingue e negli ambiti altrui ma non per questo funzionano nel proprio. Quando alcuni ambienti culturali transalpini cominciarono a diffondere il termine “identitaire”, ottennero immediati risultati perché il termine si innestava su un’autopercezione che in Francia è radicata e fortissima. Identitaire suona bene in francese e tutti ne capiscono con facilità il significato. Tradotto in italiano, l’aggettivo non funziona allo stesso modo. Semplicemente non significa la stessa cosa.
“Sovranista” è ancora peggio. In italiano è anche cacofonico. In una nazione abituata a considerarsi un “Paese”, privo di una cultura della sovranità nazionale – o anche della semplice comprensione di cosa sia – da più di settant’anni, il termine non può attecchire nell’inconscio collettivo, mentre in Francia evoca immagini ancestrali di Grandeur e di fierezza quasi sciovinista da cui sono immuni solo le ultimissime generazioni di derasinè. In Francia persino Simone Weil lanciava i suoi strali contro il pericolo dello “sradicamento” o della “perdita di radici”.
In politica non c’è posto per l’illusione né per lo scoramento. C’è posto solo per la volontà e per la capacità. Se non c’è la volontà si fa altro. Se non si ha la capacità ci si fa da parte.