La vittoria di Macron è frutto della sua abilità politica, di un contesto di crisi che ha coinvolto i partiti francesi, gollista e socialista su tutti, e di un disinteresse generalizzato che ha trovato una via di fuga nel non-voto o nelle schede bianche. Macron ha approfittato di tutto ciò e anche del fatto che la grancassa mediatica si sia scagliata con penose asserzioni apodittiche contro l’ondata sovranista.
Della vicenda francese dobbiamo però cogliere questo secondo aspetto. Un terzo dei cittadini d’Oltralpe crede che alla dialettica un tempo sintetizzata nella dualità capitale-lavoro e che, per certi aspetti, si ripropone oggi in una bruciante attualità, manchino perni d’appoggio a sinistra. Gli operai da qualche anno, e non solo in Francia, votano tendenzialmente a destra quando questa assume tratti populisti. Il capitalismo finanziarizzato è infatti visto dalle classi meno abbienti come prodotto indistinguibile dalle politiche di sinistra o della destra economica. Ma è un’adesione che si palesa attraverso tante altre dualità. Nella rappresentazione dei flussi di voto tra periferia e città si comprende chiaramente come le prime indirizzino quasi sempre il loro consenso verso partiti antisistema, mentre nelle metropoli il voto venga indirizzato verso l’establishment, sia esso rappresentato dalla destra o dalla sinistra. Ecco perché questa antica contrapposizione (destra-sinistra) non ha più alcun senso logico e sembra essersi detta la parola ‘fine’ sulla vecchia politica.
Tante sono le differenze rispetto al passato e una di esse è centrale: la borghesia medio-alta vota quasi sempre a sinistra. Al contrario, i cittadini sempre più sofferenti per quest’epoca di cambiamenti, e che mai si avvantaggiano di riforme fiscali, economiche, delle trasformazioni del diritto del lavoro, dell’austerità o della rigide scelte della Unione Europea, con sempre più frequenza volgono lo sguardo ai movimenti ‘sovranisti’.
Il Fronte Nazionale, nonostante uno sforzo enorme e vari tentativi di ‘ripulitura’, non è però riuscito nell’impresa. E non dovremmo fare sforzo enorme di fantasia per capire che lo stesso potrebbe accadere in Italia. Date tali premesse non resta che pensare ad una totale trasformazione dei partiti ‘sovranisti’ non solo per ciò che concerne strutture e forme organizzative ma anche sul piano dell’affinamento delle proposte programmatiche. E allora perché non pensare ad una ‘rivoluzione conservatrice’ che non rivernici soltanto gli esterni, ma scavi dalle fondamenta partiti come Lega e Fratelli d’Italia? Al contrario, rimanere fermi, tentando di raccattare il malcontento generalizzato per massimizzarlo in una più intensa raccolta del consenso diventerebbe operazione di piccolo cabotaggio. Perché va ribadito: canalizzare il consenso elettorale sfruttando il rancore antisistema e la rabbia di larghi strati della popolazione attiene alla tattica e non alla strategia. E i cittadini delle tattiche ne hanno le tasche piene.
È perciò giunto per i partiti della destra il tempo di svestirsi dei propri panni. Di fondere le energie per una ‘rivoluzione conservatrice’ che connetta i temi cari alla maggioranza degli italiani. L’immigrazione è uno di essi, ma non l’unico. C’è la questione del ritorno a forme più o meno blande e rimodulate di protezionismo; la difesa dell’idea di ‘nazione’ che non può esaurirsi nell’innalzare muri reali o simbolici; e poi i temi etici, quelli legati ai diritti civili, ed infine la lotta al politicamente corretto e al pensiero unico.
Praterie di consenso in cui potrebbe essere declinato un nuovo solidarismo in chiave nazionale in grado di distanziare, e finalmente con decisione, formulette tanto care agli esegeti di un liberalismo che sempre degrada in liberismo. Anche perché quest’ultimo tratto è appannaggio oramai del rinnovato Partito democratico di Matteo Renzi.
C’è un mondo dunque che vive nel limbo e attende rappresentanza e che i singoli partiti del centrodestra non riescono e non possono intercettare se rimangono immobili. Siamo consapevoli che ognuno di essi rappresenti singole sensibilità culturali, storie politiche, radicamenti territoriali (e anche rendite di posizione), eppure il mondo corre veloce e la semplice somma tra differenti sigle può essere utile per una competizione elettorale ma non come fronte strategico di lungo periodo in grado di realizzare una solida egemonia.
Non più dunque partiti di centro destra ma qualcosa che vada oltre le categorie novecentesche. Una sola ed unica formazione che non debba ripudiare il Mercato ma provi, per quanto possibile, a regolarne le storture; che non sia succube delle decisioni prese da tecnocrati in sede europea; che sia attenta a valori come la solidarietà; che riscopra il senso comunitario lasciando da parte il nazionalismo caricaturale; che sia conservatrice e non liberale; che renda moderna l’Italia nelle sue strutture logistiche, amministrative e infrastrutturali; che consacri e vivifichi l’eternità delle sue idee di bellezza.
Al momento c’è un popolo pronto a recepire tale radicale proposta di rinnovamento ma non ci sono classe dirigenti predisposte a mettersi in gioco. Come nel primo Novecento, anche adesso c’è un mondo culturale che brulica e forse c’è anche una nuova generazione che vive la globalità come fatto naturale e interpreta il proprio sentimento nazionale in maniera spuria da ogni appesantimento retorico.
Siamo pertanto in una fase storica dove è possibile perseguire e tentare di realizzare un nuovo soggetto ‘rivoluzionar-conservatore’. E quando parlo di rivoluzione conservatrice penso ad una idea chiara di cambiamento, non ai forconi. Ugo Spirito diceva che <<la storia del nostro paese è caratterizzata da secoli dall’impossibilità di movimenti rivoluzionari. (…). In Italia non si fanno rivoluzioni>>. Anche il tentativo, per certi aspetti culturalmente rozzo, di mettersi in fila per osannare i vari Trump, Putin o Le Pen rappresenta un diverso modo per non assumersi responsabilità in casa propria.
L’Italia ha una Storia che si dispiega lungo alcuni millenni e scopiazzature non servono. Battiamo la strada della nostra identità storica, culturale, spirituale. Forse, c’è spazio ancora per una ‘rivoluzione conservatrice’ reclamata a gran voce dai cittadini ma che i partiti non odono per miseri interessi di parte.