C’è un romanzo dedicato ad un poeta. Pagine per raccontare lo scontro tra una voce libera e il potere sovietico. E c’è una scrittrice franco-libanese, Vénus Khroury-Ghata che ridà vita alle angosce di Osip Mandel’štam, il poeta perseguitato dall’apparato comunista. Il totalitarismo è la Storia del XX secolo: è la modernità, è il Soviet, è il Partito, cioè il Tempo che coinvolse e sconvolse esistenze di milioni di persone. Il poeta aveva compreso la sua epoca; scrisse allora con coraggio, “Stalin è un mangiatore di uomini.” Osip era come un fiore in faccia al rosso vulcano; con il trascorrere dei decenni, tuttavia, quel fiore non sfiorì.
Il libro di Vénus Khroury-Ghata, ‘Gli ultimi giorni di Mandel’štam’ è vero. La scrittrice racconta un Mandel’štam, letterato borghese, che diventò un’ombra lacera in un campo di prigionia. Il passato non esisteva nel gulag – solo baracche fredde, sporcizia degli internati -, un mondo di ghiaccio narrato per recuperare le ultime ore del poeta che aveva cantato, nel 1912, un’altra Russia, “Andiamo a Carskoe Selo!/ Sventati, liberi e ubriachi/ laggiù sorridono gli ulani…”
Il romanzo dedicato a Mandel’štam è una storia recuperata dal buio della memoria contemporanea. Le sue pagine restituiscono l’intellettuale perseguitato, morto a quarantasette anni, un uomo contro lo Stato. Un uomo che rappresenta una generazione che espresse la non adesione, il rifiuto della politica. E tutto ciò ora si collega ad un’altra pubblicazione recente, Arsenij Tarkovskij, ‘Stelle tardive. Versi e prosa.’ In questa, senza pudori ideologici, le parole cantano la steppa, il Volga, la grande anima russa. L’opera poetica di Tarkovskij crea una grande linea che tiene insieme Mandel’štam, Achamatova, Gumilëv, cioè un’intellighenzia affamata di verità.
“Sognai tutto ciò che mi sarebbe accaduto./ La mattina mi destai, chiamai la terra terra,/ e offersi il mio petto ancora debole all’arsura.”
Sono questi i versi di Tarkovskij. Per il nostro oggi, sono la testimonianza di un distacco lirico da una realtà compromessa. Sono i versi di chi fu messo da parte dalla dittatura delle scuole culturali. È emblematico ritrovare, in libreria adesso, da una parte Mandel’štam, il “martire del chiaroscuro… sceso in fondo al tempo ammutolito”; dall’altra Tarkovskij e il suo grido, “il mulino della vita e della morte mi ha spezzato la spina dorsale.” Ritorna inattesa l’attenzione ad una stagione all’inferno della poesia russa in cui la solitudine era l’unica compagna, mentre il chiasso conformista stordiva, “In splendida miseria, in sfarzosa povertà/ vivo solitario – confortato e sereno -/ beati quei giorni, quelle notti,/ e la dolce sonora, innocente fatica.” Qui i versi di Osip scritti nell’inferno di Voronež, strofe per chiudere il conto con il secolo breve, con il tempo che costruì la modernità bruciante, “Secolo. Lo strato di calce nel sangue del figlio malato/ s’indurisce. Mosca dorme come una madia in legno: /non c’è dove fuggire al secolo-sovrano…”
*Vénus Khroury-Ghata, ‘Gli ultimi giorni di Mandel’štam’, Guanda, pag. 140, euro 13
*Arsenij Tarkovskij, ‘Stelle tardive. Versi e prosa’, Giometti&Antonello, pag. 232, euro 22