Marco Valle, scrittore e intellettuale libero, è autore dell’istant-book edito da il Giornale “Marine Le Pen, la donna che spaventa l’Europa” (è acquistabile in tutte le edicole). Con Barbadillo.it si è soffermato sulle prospettive del Front national oltre la sfida del ballottaggio: la destra patriottica punta a conquistare una cospicua rappresentanza parlamentare nell’assemblea legislativa nelle prossime elezioni politiche a giugno.
Marco Valle, quale quadro politico emerge dal primo turno delle presidenziali francesi?
“Di grande confusione. Tutte le regole della Quinta Repubblica sono saltate e i vecchi partiti socialisti e repubblicani sono vicini all’implosione. Macron — il candidato di plastica, il beniamino degli eurocrati, delle banche, dei sauditi e dei media — è il grande favorito nonostante (o grazie?) le sue ambiguità (come Renzi in Italia, l’uomo è un genuino prodotto dell’apparato), ad un “non partito”, basato su programma debole e contradditorio. Non a caso, per la nomenklatura transalpina — un sistema di potere economico-politico trasversale quanto chiuso— “En Marche” è oggi l’unica ipotesi possibile per tutelare interessi ed equilibri resi sempre più precari dalle trasformazioni in atto”.
Socialisti e repubblicani post-gollist fanno a gara nel salire sul carro del potenziale prossimo vincitore.
“Hollande e Fillon, in vista delle prossime elezioni legislative, hanno subito offerto il loro appoggio, convinti di poter trasbordare in un “grand rassemblement” ciò che resta delle loro truppe sulla zattera di Macron”.
Il risultato del 7 maggio è scontato?
“Marine Le Pen ha segnato diversi punti a suo vantaggio. Nonostante le bugie dei mass media — che enfatizzano un arretramento in termini di percentuali rispetto alle regionali del 2015 (il 27 per cento) senza però calcolare l’aumento di un milione di preferenze —, il Front National ha confermato la tutta sua forza. Ma non solo. A differenza del 2002, quando Jean Marie sorprendentemente arrivò al ballottaggio scatenando uno psicodramma collettivo, nessuno degli avversari si è stupito o scandalizzato dei risultati di Marine e nessuno si è rifiutato (come invece fece Chirac con il babbo) di confrontarsi con lei. Insomma il “barrage repubblicano” è stato archiviato. La signora è stata poi abile (e/o ben consigliata) nel proporsi come l’erede naturale del gollismo sociale e patriottico. In ogni suo discorso, compreso quello di domenica sera, il generale De Gaulle era ben presente”.
Tutta la destra repubblicana voterà Macron?
“Al ballottaggio un dato da non sottovalutare, vista la disgregazione dei “fillonisti”, l’inatteso risultato dei sovranisti di Nicolas Dupont-Aignan (1,7 milioni di voti) e il disimpegno di Mechelon. Ma, al di là d’ogni retorica e di troppe speranze, è la campagna di giugno, realisticamente, il vero traguardo per i frontisti. Nell’immediato, il futuro dei lepenisti dipende da quanti seggi verranno conquistati all’Assemblea Nazionale”.
La proposta politica di Marine Le Pen prevede alleanze?
“La politica delle alleanze rimane il punto debole del progetto frontista. Analizzando, nel mio saggio pubblicato da Il Giornale, la lunga marcia di Marine, ho evidenziato la difficoltà del Front a rapportarsi in una logica “governista” con interlocutori esterni”.
In passato il FN aveva un approccio differente?
“È l’eredità velenosa di Le Pen senior: dopo aver votato in parlamento negli anni Ottanta il 70 per cento delle leggi proposte da Chirac e contribuito, entrando in maggioranza, all’elezione di presidenti gollisti di quattro regioni, nel 1987 le Chef decise di rompere ogni contatto imponendo al partito una deriva nostalgica e sterile. Una follia, ma non per Jean Marie. A differenza della figlia, l’uomo non ha mai voluto vincere, conquistare il potere; negli anni l’uomo ha preferito rappresentare i sentimenti di milioni di francesi arrabbiati, essere bandiera e spauracchio, divertendosi — poiché è un rompicoglioni patentato — a far arrabbiare i potenti e a scandalizzare la rive gauche. Niente di più”.
Marine Le Pen ha rotto con questa tradizione isolazionista.
“Marine, ovviamente, la pensa in modo opposto. Già alle comunali del 2014 la presidentessa aveva proposto alleanze locali presentando una dichiarazione d’intenti. Si trattava di un testo pragmatico, non incardinato sui programmi del Front National ma sui problemi territoriali: l’impegno contro la fiscalità, la difesa dei piccoli commercianti, la trasparenza nell’attribuzione delle case popolari, la difesa della laicità e la lotta contro i campi abusivi dei nomadi, etc.. Come è noto, l‘appello cadde nel vuoto. Domani, se si conferma il crollo dei repubblicani alle legislative, lo scenario potrebbe cambiare e un dialogo potrebbe aprirsi a destra. In ogni caso, sarà determinante, oltre alla consistenza, la qualità del futuro personale politico frontista”.
Cosa resta nell’attuale campagna “Marine presidente” delle reminiscenze missine che avevano contaminato i giovani frontisti negli anni settanta e ottanta?
“Poco, pochissimo. Da molto tempo la destra italiana ha cessato d’essere un punto di riferimento o d’ispirazione per i quadri del FN. Già negli anni Ottanta, come vice segretario nazionale del FdG, ebbi modo di constatare nei diversi incontri bilaterali distanze e diversità. A parte una breve vicinanza agli albori, la storia del frontismo francese si è sviluppata su altre coordinate rispetto alla vicenda missina e post-missina, segnando forti discontinuità anche con le culture “fasciste” transalpine. Come sottolinea nel suo interessante libro Marco Gervasoni (“La Francia in nero”, Marsilio editore), nel bagaglio ideologico del FN vi è il boulangismo e poi il poujadismo, non Drieu La Rochelle o Doriot. Resta qualche nostalgia maurrassiana (vedi il caso di Marion) intrecciate a analisi riprese dalla “nouvelle droite”, ma l’impianto è post-global e post-ideologico, inserito negli schemi repubblicani. Insomma, un Colbertismo 4.0 e non un destrismo nostalgico, apocalittico e, alla fine, inutile”.