Tutta la storia di Walter Siti e del suo libro, “Bruciare tutto”(Rizzoli), confermano che la cultura italiana è fatta di cloni, e tutti al ribasso. Finita l’epoca delle matrici, e dei giganti – pensate che solo trent’anni fa nel giro di quattro giorni si uccideva Primo Levi e scompariva Federico Caffè: abbiamo forse oggi pezzi del genere? – non ci restano che i replicanti. Succede così che Walter Siti, bravissimo curatore dell’opera di Pierpaolo Pasolini, provi a mangiare in salsa piccante il suo maestro, e per un certo periodo ci riesca pure, replicando le borgate, allungandone il degrado, trascrivendone la trasformazione e la deriva, raccontando della società italiana e della sua tivù, creando un io molto largo, tanto da ospitare se stesso, la sua illusione e pure la continuazione dello scandalo pasoliniano. Replica e allarga, replica e allarga, si arriva alla vera grande trasgressione: il sesso con i minori, l’ultimo grande tabù, assolto già alla grande nelle pagine dei romanzi e in quelle della storia che ci ha generato – Grecia e Roma – ma non dai canoni morali del presente, allora serve un colpettino in più, non basta scrivere un romanzo dove si bordeggia la pedofilia seppure con un gran rifiuto che genera una morte, ma tirare dentro una figura imponente e immacolata – in questo caso Don Milani – con la dedica, e il gioco è fatto, ammiccando, per poi dire forse non è così, mi sono sbagliato, ho creduto che il mio prete fosse lui. Ma tutto questo riguarda il marketing – guai a nominarlo al vecchio Siti, che s’inalbera – il punto è che Siti rappresenta in pieno il bluff della letteratura italiana, vorrebbe essere Pasolini ma gli manca il fisico, vorrebbe scandalizzare ma ritratta, vorrebbe imperare (culturalmente) e invece soccombe, rivelandosi come l’esempio cardine di questi anni privi di autenticità: nei romanzi come nel cinema. Rivelando un paese povero che si accontenta di cloni e li elogia e santifica come se fossero davvero maestri. Dove Saviano si veste da Malaparte, Carofiglio si maschera da Sciascia, Virzì diventa Monicelli e via così. In questo contesto Siti cerca di replicare quello che conosce meglio, cerca di far sua la lezione di Pasolini e aggiornarla (in questo: meglio l’uso che ne aveva fatto Vincenzo Cerami e il suo tentativo di emancipazione), ma invece di liberarsi del maestro ne diventa schiavo, e diventandone schiavo non cerca l’autentico ma la replica, e i giornali a loro volta reiterano – un gradino sotto – polemiche già viste per il vero scandalo, per la vera trasgressione: quella pasoliniana.