Non molto tempo fa mi è stato detto che per scrivere una corretta recensione non bisognerebbe mai parlare in prima persona: “a meno che tu non sia un grande editorialista!”; ci sono libri, però, che ti toccano nel profondo e anche se non sei quel grande che vorresti essere, non riesci a scriverne senza toccare tutte le corde più intime che ha colpito.
“La più amata” di Teresa Ciabatti è un romanzo che non solo ti tocca, ma che ti ferisce, nel profondo: è un’artigliata, una doccia fredda, uno schiaffo improvviso, un dolore. Sei tu che ti trovi addosso un passato, non il tuo ovviamente, ma che inevitabilmente il tuo è andato a cercare. Cominci a leggere e, lo sai da prima perché hai letto gli altri romanzi dell’autrice, già il titolo è una pista falsa, una maniera per distrarti e poi lasciarti senza parole, con la voglia di continuare a sfogliare le pagine e a cercare allegria, amore, giorni felici, ricordi piacevoli.
Se leggete Teresa sappiate che lei non vi regalerà la gioia di un quadretto familiare sinistramente perfetto o di un amore romanticamente languido, se leggete Teresa sappiate che vi sconterete parole nude e ruvide che raccontano tutto quello che ci vuole coraggio a guardare, a leggere, per trovarvi in un mondo che inevitabilmente ha qualcosa in comune con il vostro, e che non potrete abbandonare fino alla quarta di copertina; se leggete Teresa, sappiate che avrete tutto quello che la letteratura deve saper dare: verità e sentimento.
Cosa spinge una scrittrice a raccontare la sua storia, quella della sua famiglia, di tutte le persone che, volenti o nolenti, ne hanno fatto parte, di un coccodrillo di plastica verde – emblema di un status trovato, perduto, ritrovato e poi sparito – abbandonato nell’acqua azzurra della prima villa con piscina dell’Argentario? Sfogliando quelle pagine me lo sono chiesto spesso: come fa, come ci riesce, dove ha trovato tutto questo coraggio, come ha resistito a tutte queste parole, come ne è uscita viva? Non deve essere stato facile mettersi a nudo, tornare indietro nel tempo, scavare nelle carte e nei ricordi di famiglia per scrivere un romanzo che darà a tutti la possibilità di sapere chi sei, da dove vieni, chi erano le persone con le quali sei cresciuta, di conoscerti da un punto di vista così privato e intimo che molti non hanno il coraggio e la forza di mostrare nemmeno a chi ogni giorno vive accanto a loro. Leggendo il romanzo di Teresa, immaginando come vive e reali le scene così dettagliatamente descritte e raccontate, mi sono figurata suo padre, Lorenzo Ciabatti, che dopo aver preso la laurea in medicina parte per conquistare gli Stati Uniti d’America, che passeggia per una cinematografica New York a braccetto con una quasi Marilyn Monroe; e ho anche pensato a sua madre, Francesca Fabiani, figlia di una modista di cappelli, mentre fugge via per le scale dell’antico palazzo romano dove era andata a studiare dal piccolo principe compagno di scuola, per poi ritrovarsi ad essere la regina di un paese non suo. Leggendo le sue parole sono entrata in un mondo di cui si parla sui giornali o su qualche libro di storia, che si sente raccontare da chi “quegli anni li ha vissuti”, quegli anni che hanno fatto e disfatto la storia del nostro Paese.
E poi immagino lei, Teresa, che si mette a scavare per cercare ogni notizia relativa a un passato che non conosceva o che conosceva poco: l’anello di suo padre con quel particolare stemma, la vita da principessa rispettata e omaggiata da tutti e poi crollata a più umili ranghi, il piacere di essere ammirata ma mai veramente amata, gli abiti da sera come unico scudo, il bauletto della Naj-Oleari stretto tra le mani in un taxi che attraversa Roma, il passaggio da giovane ballerina che piroetta sul palco del Supercinema di Orbetello ad adolescente insoddisfatta, a donna che cerca ancora troppe risposte.
La scrittura di Teresa Ciabatti ti permette di vivere, per tutta la durata del romanzo, in un mondo vorticoso e folle, ti fa desiderare di saperne di più o di non averne mai saputo niente, e riesce a farti parteggiare per uno o per l’altro personaggio, ma mai per lei.
Non so perché, ma lei è così brava a farti percepire che se certe cose non le avesse fatte forse altre non sarebbero successe. Può sembrare assurdo, folle, ingenuo e anche invadente, ma parte tutto da lei, come se potesse cambiare alcuni avvenimenti, come se non avesse dovuto determinarli, come se dandosi da fare per acchiappare quella gallina bianca che correva per le corsie dell’ospedale, tutta la sua storia, e anche un po’ la tua, avrebbero potuto renderti davvero la più amata.
* “La più amata” di Teresa Ciabatti (Mondadori): in gara per il Premio Strega