Di Amedeo Modigliani sappiamo tutto. La sua arte come icona contemporanea. La sua vita scapigliata. Piace però ricordare che, arrivato a Parigi, con sé portò due libri: ‘Così parlò Zarathustra’ e la ‘Divina Commedia’, due grandi testi della cultura occidentale. E nei quadri di Modigliani un’umanità occidentale, smarrita e borghese, si riscoprì. I volti spaesati dei giovani artisti; gli sguardi senza luce delle parigine; gli intellettuali in attesa, sulle tele del pittore livornese, dicono la malinconia dell’anima occidentale del XX secolo. L’eccezionale mostra genovese consente di fare il punto su una storia d’arte che, in Italia, non fu subito riconosciuta. Nella Biennale di Venezia del 1922, la prima personale di Modigliani raccolse pareri negativi. Invece, nel 1930, nella XVII Biennale, trentotto dipinti del pittore furono celebrati come arte italiana. Ugo Ojetti, accademico d’Italia, e Margherita Sarfatti, nota intelligenza novecentesca, trasformarono i giudizi negativi del 1922 e portarono avanti un Modigliani artista dell’italianità, nella Francia internazionale di Braque e Picasso.
Trenta dipinti in mostra
L’occasione genovese è ghiotta: trenta dipinti in mostra, a Palazzo Ducale di Genova, esposti sino al 16 luglio, aprono una finestra sulle donne di Modì o sull’astrazione spigolosa del ‘Ritratto di Beatrice Hastings’ (1915) o su ‘La giovane Lolotte’ (1918) con la mite occhiata alla ricerca di attenzione. E le donne esprimono il centro poetico dell’esposizione considerato che non sono molti i quadri in mostra dedicati agli uomini; però sono infiniti il ‘Chain Soutine’ (1917) e il volto cubista di ‘Moisé Kisling’ (1915) che raccontano maschi o scontenti o vaghi.
I soggetti femminili delle opere
Ma l’universo di Modì era composto di donne. Di vite dipinte per entrare in empatia con le personalità femminili, per raccontarle. Nelle stanze del Palazzo Ducale donne sensuali e impenetrabili rivelano sospiri: pare che chiedan di parlare come meravigliose cortigiane del Novecento, non più come modelle pagate con niente, non più come signorine che apparivano e scomparivano in quella casa-atelier in Rue du Delta, dove l’avventura dell’arte conduceva al successo o alla disperazione.
Il Modigliani che torna in Italia, nelle stanze del Doge, ci parla dell’artista maledetto, ma lo fa attraverso l’arte della linea, ossia una classicità implicita studiata da un artista che non smise mai di spiegare ai francesi il suo paese. Agli amici parigini Amedeo mostrava le cartoline delle opere del Trecento e del Quattrocento toscano. Mentre era influenzato da Cézanne e dalle figure africane, egli non smise mai di pagare il suo debito con i Primitivi toscani.
L’immenso fama mondiale di Modigliani fece poi sfumare la sua italianità. Per la quale egli sì viveva la ‘Scuola di Parigi’, però, senza perdere i suoi confronti intellettuali con i pittori italiani. L’aneddoto riferito da Gino Severini è mitico. In una strada di Montmartre, Amedeo e Gino si guardarono appena negli occhi e si riconobbero come italiani, “Lei è italiano?” Risposta, “Certo, e anche lei, ne sono sicuro.”
L’operazione espositiva genovese è una magnifica esperienza internazionale perché raccoglie capolavori che arrivano da Parigi, Cambridge, Brera, Anversa, dipinti e disegni per creare un panorama – da ricordare per molti anni – sul creatore italiano di un linguaggio che creò il nudo femminile raffinato mostrando l’anima del corpo.