Dove va la scuola italiana? Riuscirà a sopravvivere il sistema culturale nostrano davanti all’incedere del «pensiero computazionale»? Saprà mantenere le sue specificità e qualità? L’assedio è in atto, non possiamo nasconderlo. Ma chi gestisce tutti i livelli delle politiche per la formazione pare non aver contezza del conflitto in corso, con l’unico risultato concreto di lasciar soccombere un intero comparto che storicamente ha prodotto eccellenza.
Il filosofo Diego Fusaro è su tutte le furie. La sua denuncia è claustrofobica ed è lanciata dalla prefazione del Diario (quasi segreto) di un prof. Pozioni e incantesimo per connettersi con gli adolescenti (San Paolo ed., 2017) del giornalista e docente liceale Marco Pappalardo. Una sorta di manuale destinato a rivelare agli studenti quelle che sono le aspettative, sofferenze e speranze del corpo docente. Un punto di vista sia diverso che umano per raccontare l’universo scuola.
Ma torniamo al grido di Fusaro. «Nell’ultimo ventennio – spiega il filosofo torinese in appena quattro pagine ma dense di contenuto – la scuola è stata sottoposta a una radicale dinamica di aziendalizzazione. Da istituto di formazione di essere umani in senso pieno, consapevoli del proprio mondo storico e della propria storia, la si è trasformata in azienda erogatrice di abilità e competenze connesse con il dogma del servire-a-qualcosa». Diego Fusaro sfrutta quindi il testo di Pappalardo per aggiungere una protesi sulla sua già ampia analisi sullo stato (e le derive) del capitalismo contemporaneo.
A monte di ogni valutazione c’è una pietra angolare da prendere o lasciare. Eccola: «La distruzione dell’elemento etico proprio del passaggio dal capitalismo borghese a quello post-borghese odierno implica la dissoluzione della formazione e dei suoi istituti (dal Liceo all’Università), che procede con quella della famiglia e del mondo del lavoro garantito. Tale modello economico non necessita né della famiglia, né dell’educazione, né del posto fisso, e che, anzi, in essi ravvisa altrettanti ostacoli che debbono essere abbattuti in nome dell’allargamento smisurato del nichilismo».
Prima ancora che educativa, la questione è quindi politica e, perché no, morale. «Il fanatismo economico – aggiunge Fusaro – oggi elevato a sola sorgente di senso aspira a sostituire a) la famiglia con atomi consumistici single, desocializzati e competitivi, b) il lavoro stabile e garantito con la precarietà e la flessibilità, la scuola e gli istituti formativi con aziende scolastiche erogatrici di competenze tecniche e abilità spendibili sul mercato del lavoro flessibile».
L’analisi di Fusaro, al netto delle reciproche diffidenze, può mettere allo stesso tavolo cattolici, conservatori di ogni risma e grado, e marxiani. Un patto emergenziale che può trovare in Antonio Gramsci uno dei suoi profeti laici. Sì, perché fu il sociologo sardo a stigmatizzare come «cretinismo economico» quel processo che vuole decapitare ogni testa pensante in vista di una società dove è il calcolo a prevalere. Una società che già in tempi altrettanto decadenti, l’inquietò René Guénon vide sotto il dominio di quel Regno della quantità oggi trionfante.