In questi ultimi anni, lo zelo della disciplina antropologica è cresciuto rapidamente. Particolarmente concentrata sul legame indissolubile tra l’adolescente e il suo smartphone, ha posizionato i ragazzi alla maniera di veri e propri attenzionati. Relazioni, che a sentire gli esperti, appaiono sempre più malate. Si parla e sparla di dipendenza, cyberbullismo e totale assenza di contatto con la realtà.
Al Liceo Munari di Crema, appena in questi giorni, un esperimento ideato dalla ricercatrice dell’Università degli studi di Milano, Angela Biscaldi, ha tentato la sottrazione dell’oggetto diabolico dalla presa degli studenti. Soltanto tre alunni hanno provato il brivido della disintossicazione. Dieci non hanno affatto preso in considerazione l’esperienza e trentuno, dopo soli tre giorni, sono tornati all’accogliente tastiera. Che dire? Un successo!
Non si hanno notizie dell’esito di un episodio simile, avvenuto non più di un anno fa. Non un preside, non una psicologa, non una professoressa, ma il Sindaco di Vigonza, con promessa di premio finale, ha chiesto l’astinenza da smartphone per una settimana. L’osso lanciato come ricompensa è nel patto di un Gardaland gratis per tutti gli stoici.
A fronte di questa Antropologia che appare poco preparata al mondo adolescenziale, da tempo molti istituti scolastici, nello svolgimento delle lezioni, si appellano proprio a supporti tecnologici: il collaborative social learning, il blended learning il “coso” learning e così via. Di fatto, si vuole un adolescente che torni a giocare a campana sull’asfalto o uno che si disponga alle lezioni frontali mediante mezzi tecnologici? Dunque non solo le discipline non risolvono, ma confondono.
Che vi sia un problema è indiscutibile, che lo si voglia risolvere con la sottrazione dell’oggetto magnetico è discutibile. Le discipline demo-etno-antropologiche, presumibilmente dovrebbero partire dallo studio della sorgente e dall’accettazione che l’umanità muta insieme al mondo. Il fenomeno Internet addiction conta sulle proprie spalle già molti anni, e innanzi tutto non riguarda esclusivamente il mondo adolescenziale. Al contrario, potrebbe risultare un’immagine abusata, ma quante coppie in un ristorante a lume di candela, scelgono la luce del congegno diabolico a quella degli occhi del presunto amato? Quante famiglie, tra il frastuono di una tv sempre accesa e il bombardamento di un social, dedicano tempo a una passeggiata nel parco con i figli? Non rinunciano alla passeggiata certo, ma questa avviene all’interno di un centro commerciale ad alogena, magari alla ricerca di un ultimo modello.
Le cavie del liceo Munari di Crema si sono viste sostituire l’arnese incriminato con un diario. Pagine bianche dove appuntare riflessioni, pensieri e perché no, l’amarezza di essere gli oggetti di un tale esperimento. Ma come inchiostrare la pagina, se da tempo la custodia, anche solo di un piccolo pezzetto di passato o di un trascorso familiare, risultano completamente delegati all’utilizzo del telefono? Non sorprenda che i denominati adulti sono i primi a riportare protusioni cervicali, proprio per un uso smodato dello strumento. Dunque l’Antropologia e le discipline affini, perché non si adoperano in studi ad ampio spettro, lasciando solo per un momento il ceppo degli adolescenti fuori dall’occhio di bue? Il mondo non è immobile, evolve nel progresso che risolve, ma anche in quello che scompagina la vita. Non fare un calderone, distinguere l’uso dall’abuso e comprendere che il cyberbullismo, udite udite, non riguarda solo i fanciulli.