Tommaso Moro e l’utopia, la Magia, la Cabala, Yeats, l’Irlanda, le Celtiche, poi l’Africa, l’Etiopia, gli Scorpioni del Deserto, Gurdjieff, Ataturk, Jack London, Venezia, i Rosacroce, Atlantide e una ballata del mare salato. E Corto Maltese. Soprattutto lui. Sono molte le situazioni e le figure che saltano all’occhio quando si pensa ad Hugo Pratt, marinaio del pensiero e pirata delle emozioni, fumettista, avventuriero, cercatore di verità e di bellezza, come era solito definirlo Vincenzo Mollica. Non da ultimo iniziato e ricercatore esoterico. Hugo Pratt era tutte queste cose oppure, più precisamente, è ancora tutte queste cose, perché si tratta una di quelle figure destinate a lasciare un solco epidermico nella cultura e nel costume del fumetto italiano ed internazionale, una persona che diventa personaggio, alternandosi in un ping-pong costante tra realtà, sogno, finzione e racconto di altre realtà. Molteplici sono le personalità che lo hanno abitato e che entusiasticamente ha tradotto in storie e personaggi che inseguivano ognuno un’avventura pazza e sconsiderata, con il crepuscolarismo del secondo novecento applicato a vicende del diciannovesimo secolo. Il paesaggio diventa dunque un pretesto che sprona i protagonisti ad indagare il disordine che li circonda con il solo scopo di aggiungere un tassello alla propria composizione di esperienze, un gradino verso l’elevazione.
La ricerca dell’infinito
Lo scavo e la ricerca dell’impossibile non sono nient’altro che uno scavo all’interno delle proprie viscere volto scoprire il proprio centro, ricco di un cosmo che trascina verso l’infinito. Hugo Pratt non aveva catene, di nessun tipo, ne era allergico. Nato a Rimini, trascorre l’infanzia nella Venezia dei primi anni trenta, città cosmopolita, estetizzante ed esoterica. Dal 1937 al 1942 è in Africa, a seguito del padre, ufficiale dell’esercito. Lì scopre la forza della vita e le sue ferite, battesimo del fuoco dell’esistenza. La magia del fumetto lo rapisce nell’immediato dopoguerra. I fumetti americani di Flash Gordon, Phantom, le storie di Milton Caniff di Terry e i pirati ma anche la letteratura avventurosa di Fenimore Cooper e Zane Gray lo porta a trasferire tutto sé stesso nella dimensione dinamica e immaginifica di quella che lui poi definirà letteratura disegnata. L’Asso di Picche è un primo esperimento (che oggi definiremmo indipendente), un supereroe dal taglio americano, realizzato insieme ad Alberto Ongaro e Mauro Faustinelli. Ma il richiamo verso l’avventura della vita trasporta il maestro di Malamocco verso l’Argentina, a Buenos Aires, panorama umano e geografico destinato a rimanere indelebilmente nel dna del Nostro. Gli anni sudamericani regalano al mondo della letteratura disegnata collaborazioni con Héctor Oesterheld (autore della saga dell’Eternauta), oltre ad opere prodigiose come Anna della giungla e Sgt. Kirk.
L’arrivo del marinaio jungheriano
Corto Maltese arriva nel 1967. È il suo alter ego con le fattezze di Burt Lancaster ed una sconfinata tendenza e tensione al superamento delle linee d’ombra, seguendo la lezione di Joseph Conrad. Corto Maltese incarna l’anarca jungeriano che si rifugia nel bosco, senza sfuggire alle implicazioni e alle contraddizioni di un’esistenza che sembra spingerlo e guidarlo verso continui viaggi alla ricerca di tesori, formule, segreti inconfessabili che si intrecciano con vite mangiate dai vizi, dalla brama di potere, sfibrate dal senso di colpa ed infiammate dalla febbre dell’oro, un oro alchemico che si colloca al centro di tutto.
I viaggi di Corto sono metafore di esplorazioni interiori, bussole rivolte alla ricerca del proprio sé, del proprio mistero, in cui il fattore umano, con la forza della sua fragilità, consente l’elevazione e la presa di coscienza rispetto alle proprie, molte, facce e componenti.