Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle, è il classico amico con cui vai a prendere un aperitivo dopo aver lavorato tutto il santo giorno, e quando avresti voglia di staccare un po’ il cervello, ti attacca un discorsone sulla visione esistenzialista di Jean-Paul Sartre declinandola nella contemporaneità, e te lo odi per questo. Lo odi, e non sei nemmeno d’accordo sulle sue prese di posizione. Però lo ascolti, partecipi, cerchi punti d’accordo, discuti con lui, forse ci litighi pure. Risveglia in te il leone culturale che tutta la giornata madida d’impegni aveva assopito, e proprio nel momento in cui eri intenzionato a non pensare a nulla ti ritrovi a speculare sul senso della vita nelle odierne società occidentali. Per questo lo odi, ma gli vuoi un bene dell’anima. E questo accade perché, al contrario di molti, Francesco Bianconi ha effettivamente qualcosa da dire, ha una sua versione dei fatti e te la sa pure raccontare molto bene. Così te la racconta, infarcisce le sue opinioni con le più disparate citazioni, da Amanda Lear a Gabriele D’Annunzio, senza però abdicare alla sua originalità.
E tu lo ascolti, Bianconi, ascolti i Baustelle, ascolti il loro nuovo album, e per quanto tu sappia che culturalmente hanno poco a che fare con te, li apprezzi. Con la loro ultima fatica “L’Amore e La Violenza” la band italiana dipinge con canzoni “oscenamente pop” il nulla che assedia l’anima della modernità, nelle generazioni che si anestetizzano in ogni modo possibile per fuggire da ogni tipo di dolore e delusione che la vita può riservare. Così, come parlando ad un aspirante suicida, Bianconi canta “Lo so, la vita è tragica/la vita è stupida/però è bellissima/essendo inutile/pensa a un’immagine/a un soprammobile/pensare che/la vita è una sciocchezza aiuta a vivere”. Una via salvifica si delinea nell’accettazione estetica della vita come cosa da nulla, come un soprammobile, un giocattolo, e per questo essere felici di possederla, come se si possedesse un bel dipinto.
Per quanto il problema che affligge questo mondo di plastica, di sorrisoni, di condivisioni in tempo reale, di digitalizzazione, di felicità e divertimenti imposti come lavori forzati abbia, concorde coi Baustelle, distrutto ogni tipo di sopportazione al dolore e alle ingiustizie del mondo, la visione estetizzante della vita suona come una resa, una rassegnazione al fallimento della razza umana. Sembra quasi che non si possa tentare altre vie, altre soluzioni a questi mali esistenziali, come, ad esempio, cercare di ridare alla vita quella dignità metafisica che oggi gli è negata, o che, peggio ancora, è vilmente banalizzata da preti inadeguati e da pseudo-mistiche orientaleggianti.
Io vi amo e vi odio, Baustelle: odio il vostro nichilismo di stampo progressista, ma amo il vostro modo di esporlo. Amo la vostra intelligenza, ma odio le conclusioni a cui arrivate. Vi amo perché la musica italiana ha bisogno di voi: compositori di altri tempi, più artigiani che artisti, che puntano sulla qualità in luogo della quantità. Vi odio perché siete legati a quel mondo sinistro di progressismo e caviale, e mi rattrista che nel desertico panorama della destra italiana non ci siano personalità come la vostra. E mentre voi ve ne state lì, a presentare il nuovo disco nelle varie Feltrinelli, mi tocca osservarvi di lontano, immerso fino al collo in un mare di bellissime ruspe giocattolo. Ma va bene così.
Le idee sono idee, la musica è musica. Il disco è splendido, le canzoni ben curate, i testi aulici. Già queste cose sono reazioni più che condivisibili alla modernità. Al prossimo aperitivo, Bianconi.