Nel settembre del 2011 mi collegai, come tutti i giorni, ad Internet, ai grandi media italiani ed a qualcuno straniero. Vantaggi di vivere nell’epoca dell’informazione globale. Un articolo colpì la mia attenzione:
“Centinaia di migliaia di indiani che acclamano un attivista in sciopero della fame, Israele che vive le più grandi manifestazioni della sua storia, giovani spagnoli e greci che occupano infuriati le piazze delle loro città. Corruzione, prezzi delle case alle stelle, disoccupazione: i motivi sono gli stessi in tutto il mondo. Ma dall’Asia meridionale al cuore dell’Europa, fino a Wall Street, chi scende in strada esprime, soprattutto, diffidenza e persino disprezzo nei confronti dei politici tradizionali e del processo politico democratico che essi presiedono. Ad essere preso di mira, in altre parole, è lo stesso meccanismo delle elezioni, considerate da questa enorme massa di persone che protestano, semplicemente inutili!”
Il “New York Times” cominciava così un articolo di analisi circa il malcontento che coinvolgeva molti Paesi nel mondo. C’erano, ancora in vita, la “Primavera Araba” con le sue attese, contraddizioni, equivoci, le crisi economiche e finanziarie, le disuguaglianze irrisolte, la disoccupazione e sottoccupazione giovanile, i tagli alla spesa sociale ecc. alla base di tali movimenti, ma il fatto che il fenomeno coinvolgesse anche chi cresceva, testimoniava una diffidenza generalizzata verso classi dirigenti ormai considerate incapaci di reali cambiamenti, spesso corrotte, dominate da “poteri forti” transnazionali dai contorni confusi.
Ho ritrovato ora casualmente quell’editoriale. Son passati più di cinque anni ed il panorama non mi sembra mutato, anzi peggiorato, per rimanere all’Occidente, all’Italia, anche se trattasi di un fenomeno ben più generalizzato. Le vicende di questi giorni del Comune di Roma mettono alla luce, con crudezza, la debolezza del nostro sistema politico che coinvolge direttamente anche chi, in questo caso il M5S, ha costruito le sue fortune elettorali su parole d’ordine quali onestà, trasparenza, partecipazione, nuovo modo di far politica.
La classe dirigente italiana, in un Paese con scarso senso dello Stato, ha sempre avuto bisogno di un riferimento ideale esterno, di una mediazione autorevole, quanto meno. Dando per scontata, in tale ottica, l’autorevolezza, almeno ideologica, del marxismo e del marxismo-leninismo per il Partito Socialista prima e per il Partito Comunista poi, potremmo dire, semplificando, che il referente ideale, la fonte d’ispirazione, il “luogo” delle sintesi della classe politica liberale è stata la Massoneria, fino all’avvento del Fascismo, la Chiesa Cattolica lo è stata poi per la Democrazia Cristiana, dal dopoguerra (quando, in fondo, i Segretari della DC, da Pacelli a Montini, erano i Romani Pontefici), la Magistratura da “Mani Pulite”, all’inizio del ’90 e durante l’epoca del cosiddetto “Berlusconismo”. E pure dopo essa ha svolto una sorta non solo di garante istituzionale, ma quasi “di autonomo ruolo politico”, di surrogazione, talora “arma impropria” usata contro avversari politici, più spesso attribuendosi quello di rappresentante massimo della “legittimità del sistema”, cioè di quel “Patto Costituzionale” vigente, bene o male, dal Referendum Istituzionale del 1946.
Questa è una vistosa e perdurante anomalia del sistema politico. Dove lo Stato era forte, poco importava un sovrano debole, almeno fino a metà del secolo XIX, all’epoca del sistema metternichiano, del Legittimismo e delle Monarchie Assolute. Altrettanto successe poi per le Monarchie Costituzionali e le Repubbliche. Così dove i partiti sono forti (ed in Italia, Fascismo a parte, lo sono relativamente stati solo durante la I Repubblica) i leaders passavano, ma rimaneva il partito, con i suoi simboli, la sua tradizione, il suo armamentario ideologico, il suo pathos talvolta… Oggi “Il Re è nudo”, desolatamente nudo. E non si scorge chi lo potrà rivestire.
*già Consigliere ed Incaricato d’Affari a.i. in Uruguay, Ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay