L’analisi (di A.Negri). Tra Usa e Iran potrebbero tornare forti tensioni

Usa vs Iran
Usa vs Iran

I segnali non sono incoraggianti: a Washington i falchi ora prevalgono nettamente sulle colombe

Trump versus Iran: nel momento in cui il presidente eletto sceglie un generale contrario all’accordo nucleare, James Mattis, per guidare il Pentagono, ricomincia la partita delle sanzioni Usa contro la Repubblica islamica.
«Gli Stati Uniti sono “sanctions addicted”, ci vorrebbe un programma di riabilitazione, come quello per i tossicodipendenti», commenta con feroce ironia il viceministro degli Esteri iraniano Seyed Kazem Sajjadpour mentre lo facciamo accomodare in una sala di Ispi-Med, la conferenza romana su Mediterraneo e Medio Oriente dove partecipano il segretario di Stato John Kerry e il ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov.
In una riunione riservata i due ministri parlano di un possibile accordo per una tregua su Aleppo Est. La Russia non vuole che Aleppo cada adesso perché spianerebbe la strada alle milizie iraniane. Ai russi inoltre un’intesa fa comodo per negoziare con Trump su sanzioni, Ucraina e Baltico con qualche carta in mano in più; agli Usa preme evitare che il massacro e le incongrue alleanze tra Stati Uniti e gruppi radicali diventino un’eredità da attribuire a questa amministrazione che al riguardo, con le operazioni spericolate dell’ex segretario di Stato Hillary Clinton, già ne porta di assai pesanti.
Cosa ne pensa l’Iran, alleato di ferro di Damasco? «Non mi pare che un’intesa possa essere raggiunta soltanto da due parti: la situazione sul campo è molto complessa», dice Sajjadpour, per indicare non solo la presenza di milizie ed eserciti contrapposti ma che Teheran non vuole essere tagliata fuori.
La notizia che arriva negli ovattati saloni dell’hotel Parco dei Principi è che il Senato Usa ha prolungato per altri 10 anni le sanzioni in vigore dal 1996 che vietano gli investimenti nel settore energetico e in quello delle industrie sensibili, misure anteriori alla disputa sul programma atomico di Teheran. Ma fonti di stampa britanniche affermano che Donald Trump prepara una nuova ondata di restrizioni. Il “transitional team” ha cominciato a tastare il polso dei repubblicani del Congresso per approvare sanzioni che non siano tecnicamente in contrasto con l’intesa nucleare del 14 luglio 2015, insieme al trattato sul clima il maggiore risultato della diplomazia di Obama. Le misure potrebbero concentrarsi sui missili balistici e gli abusi nei diritti umani.
In realtà l’accordo del Cinque più Uno è pericolante. Pur avendo tolto l’embargo petrolifero e le sanzioni finanziarie (l’Iran è rientrato nel sistema Swift dei trasferimenti bancari telematici), l’intesa non è stata ancora attuata come vorrebbero l’Italia e la Germania, i due maggiori partner europei della repubblica islamica. Buona parte delle grandi banche, nonostante le garanzie Sace, non si azzarda a fare crediti consistenti all’Iran perché si teme lo “snap back”, cioè che la nuova amministrazione Usa rimetterà il veto agli affari: per l’Italia sono in ballo contratti per oltre 10 miliardi di dollari.
I segnali non sono incoraggianti: a Washington i falchi ora prevalgono nettamente sulle colombe. Trump ha nominato segretario alla Difesa James Mattis, ex generale ostile all’Iran; alla Sicurezza nazionale è stato scelto un altro ex generale, Michael Flynn, anche lui contrario all’accordo sul nucleare mentre alla Cia andrà Mike Pompeo schierato contro la repubblica islamica.
È questa è la nuova politica estera Usa che per l’Iran, molto simile a quella delle vecchie amministrazioni repubblicane? Lo chiediamo a Sajjadpour. «Penso che Trump non abbia competenze di politica internazionale, è un imprenditore e governerà con la mentalità imprenditoriale nello spirito di “aggiustare” le crisi mediorientali. La sua conoscenza al riguardo direi che è piuttosto “meccanica”: bisognerà attendere la squadra di Trump perché in molti casi il vice presidente ha molto spazio in politica estera, come lo ebbe Dick Cheney con George Bush jr».
E aggiunge possibilista: «Trump in campagna elettorale ha detto di volere rinegoziare l’accordo nucleare ma anche che avrebbe voluto perseguire Hillary Clinton per l’“email-gate” se fosse diventato presidente. Su quest’ultimo punto però ha già cambiato idea. Non mi aspetto cambiamenti sostanziali: gli americani in Medio Oriente non hanno piani né piena comprensione di quello che sta accadendo». Ma sulle sanzioni arriva puntuale l’avvertimento: «L’Iran ha dimostrato che sa mantenere i suoi impegni internazionali ma anche dare le risposte appropriate a tutte le situazioni». Un avvertimento preciso come una stoccata. (dal Sole24Ore)

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Alberto Negri

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