Giornalismo, letteratura, teatro, televisione: Pietrangelo Buttafuoco, cinquantatreenne, siculo poliedrico e instancabile per necessità oltre che per virtù, non si fa mancare niente. Gira con lo zainetto, ufficio in spalla, perché una dimora culturale fissa non ce l’ha. Ogni giorno la sua ventura.
Giornalismo: collaborazioni con Il Fatto quotidiano e Il Foglio. Letteratura: in uscita da Skira un libro su Agostino Tassi, pittore del Seicento, stupratore di Artemisia Gentileschi, simbolo del femminismo. Teatro: in tournée con Mario Incudine con lo spettacolo Il dolore pazzo dell’amore. Televisione: rubrica Olì Olà nel Faccia a faccia di Giovanni Minoli su La7.
Cominciamo da Olì Olà: chi è il Donald Trump italiano?
«Deve ancora arrivare. Il punto di forza di Trump è di rappresentare la novità. Non bisogna dimenticare che quando si affermò alle primarie, i democratici si fregarono le mani dalla soddisfazione. La stessa Clinton si mostrò felice di confrontarsi con lui, considerato il candidato ideale per stravincere. In Italia, se si votasse adesso, e all’elettore fosse dato di scegliere tra Alessandro Di Battista e Matteo Renzi, quest’ultimo sarebbe travolto».
Quindi Trump si trova tra i grillini?
«Forse, al momento. Ma da qui alla data delle elezioni potranno accadere molte cose. Ci attendevano due passaggi: dopo le elezioni americane ora tocca al referendum costituzionale».
Vuole tentare uno scenario post 4 dicembre?
«Non mi avventuro. Ho visto che, per esempio in Sicilia, sono state mobilitate le clientele elettorali. E anche se fanno numeri importanti non vengono rilevate dai sondaggi, ma solo dalle segreterie politiche dei capi bastone».
È nato prima Berlusconi o Trump?
«Prima il Cavaliere. Silvio uovo e Donald gallina che ha a disposizione un’aia ampia e impegnativa. Perché ha davanti a sé un orizzonte globale ed epocale che per forza di cose determinerà trasformazioni».
Salvini e Grillo che spazio avranno?
«Sono il già visto. Se il bisogno di novità non fosse stato così decisivo sarebbe bastato Jeb Bush. Invece nessuno dei candidati repubblicani ha dato prova di saper interpretare il cambiamento. Non è un caso che i Bush in queste elezioni si siano alleati con i Clinton».
Abbiamo assistito al rovesciamento delle alleanze. Lei parla di nuova lotta di classe…
«La Clinton ha preso l’aperitivo con Lady Gaga, mentre Trump teneva comizi davanti alle fabbriche. La nuova lotta di classe è tra i cosiddetti deplorevoli, come li ha classificati la stessa Clinton, e le élites. Tanto è vero che i fondi sovrani, i magnati e lo stesso Soros adesso si sono mobilitati per organizzare la controrivoluzione».
Tutto questo senza che il nostro ragionamento significhi approvazione del trumpismo.
«Stiamo facendo un’analisi. Personalmente ho grandi dubbi sulla democrazia».
Auspica il ritorno dell’uomo forte?
«La realtà determina se stessa, dandosi una forma. L’Italia è in imbarazzo causa mancanza di sovranità: dipende da consigli e centri di potere che stanno altrove. Per questo è importante capire quali siano le intenzioni degli Stati Uniti. Con la Clinton, una personalità fuori dall’establishment troverebbe disco rosso a Palazzo Chigi».
Dopo la Brexit la vittoria di Trump: cosa serve ai giornalisti da salotto per fare un bagno di realtà?
«Serve una sveglia. Si sono assopiti nella irrilevanza tutta autoreferenziale delle solite marie antoniette e delle loro brioche».
Serve anche un bagno di umiltà?
«Obiettivamente hanno tantissimi privilegi. Conoscono le lingue, hanno uso di mondo, di narrazione, di mercato. Com’è possibile che facciano giornali tanto penosi? Gli ultimi importanti contratti nelle maggiori testate sono stati fatti nelle redazioni Esteri. E il risultato è che faticano a raccontare proprio gli scenari internazionali. Guardando in casa, quando, un anno e mezzo fa Egidio Maschio, imprenditore veneto protagonista del miracolo del Nordest, si sparò nel suo ufficio traumatizzando il mondo produttivo e imprenditoriale, il Corriere della Sera gli dedicò una breve. Alla borghesia italiana manca una voce che sappia guidare. Questa è stata la disperazione dei beniamini del grande pubblico. La gente voleva Indro Montanelli e gli davano Piero Ottone, voleva Giovannino Guareschi e gli davano Fortebraccio, voleva Leo Longanesi e gli davano il Politburo e la Fondazione Einaudi».
Dove sbaglia di più Renzi?
«Nel confondere un progetto politico con l’estetica della comitiva. Il suo orizzonte è il muretto degli amici sistemati nei posti chiave. Pensi al tentativo di mettere Marco Carrai ai Servizi segreti. O a Luca Lotti che spadroneggia in ogni recesso del potere. Renzi ha intossicato di conformismo le analisi di tutti i giornali. Almeno Berlusconi aveva le testate più autorevoli contro. Renzi le ha tutte a favore. Mi sa che la parte migliore di Renzi è Denis Verdini».
Provoca?
«Verdini sembra scappato dalle pagine di Vita di Niccolò Machiavelli fiorentino, un saggio nel quale Giuseppe Prezzolini descrive il Machiavelli come il rappresentante vivo di un potere sinceramente italiano e quindi universale, non provinciale com’è quello di Renzi».
Lei che se ne intende, che Islam si aspetta dal programma di Gad Lerner su Rai 3?
«Mi aspetto il solito equivoco per il quale si tende a confondere l’Islam con l’immigrazione. È un luogo comune accreditato a destra come a sinistra. A destra, per ragranellare il pieno elettorale; a sinistra, per autocompiacimento d’ordinanza».
L’unica strada è l’integrazione: impresa possibile?
«L’unica integrazione che ha funzionato nella storia è quella che avviene quando i sapienti si parlano tra loro. L’esempio canonico è quello tra Francesco e il Sultano. In tempi recenti non possiamo che indicare quello che il vero campione della destra, Vladimir Putin – altro che Trump – ha fatto: inaugurare a Mosca la più grande moschea su suolo europeo».
Figuriamoci cosa accadrebbe da noi.
«Chi se l’aspettava che i valori immutabili della metafisica dovessero essere difesi da un colonnello del Kgb. Ovvero, da colui che ha appoggiato le milizie miste di cristiani e musulmani in Siria per liberare i villaggi cristiani, restituire le chiese ai fedeli e innalzare la statua della Vergine Maria sull’altura di Maaloula, in Siria, una statua che i terroristi avevano distrutto».
Putin difensore della cristianità. E Bergoglio?
«Quando hanno fermato l’attacco in Siria il Papa e Putin hanno agito in perfetto accordo».
Detto della sinistra, che cosa ha da imparare la destra dal caso Trump?
«Che non si può essere destra per come piace alla sinistra. Quanti tentativi di farsi dare la patente di presentabilità sociale. Il riferimento culturale della destra dev’essere garantire alla comunità un’aderenza ai principi sacri, eterni e soprattutto universali. Abbiamo un grande vantaggio dall’abitare in Italia: quello di convivere con un’entità universale cui guarda il mondo intero.
Quando il contadino siberiano si fa il segno della croce sa di trovare nella Basilica di san Nicola a Bari un riferimento della sua storia e della sua identità. Così il commerciante indiano, quando ascolta Iqbal e i poeti di strada, sa che la patria è il Mediterraneo culla di civiltà e orizzonte del futuro, e la Sicilia, perla dell’Islam.
Altro che le tecnocrazie di Bruxelles. Fino agli anni ’70 le parole italiane più note nel mondo erano quelle della tradizione musicale: allegretto, andante, mosso. Ora sono pasta, pizza, pane. Con le differenti conseguenze commerciali. Se ci fosse, una destra saprebbe che il progetto è la Via della seta. E che, non si offendano gli antifascisti, è ancora scritto sul frontone del palazzo dell’Eur: artisti, eroi, santi e navigatori. La destra non può accontentarsi dei rutti del bar sport».
Quando la destra farà autocritica per le grandi occasioni perse in questi vent’anni?
«La destra al governo è stata una disgrazia. Come conferma il progetto culturale delle tre I: Internet, Inglese, Impresa. Se non ricordo male fu proprio la destra a eliminare dai licei l’insegnamento della storia dell’arte e della musica».
Nella galassia berlusconiana sembra vincere la linea pro-renziana di Confalonieri.
«Che è sempre coincisa con quella di Berlusconi. Nella galassia il principe è sempre uno solo».
Si sta riconvertendo al renzismo?
«Direi che ha chiara la situazione. Se vince il No, il Cavaliere ucciderà la destra del centrodestra. Se invece vincerà il Sì, Renzi si farà un partito tutto suo, uccidendo a sua volta la sinistra del centrosinistra. E Berlusconi sarà fondamentale nella transizione».
A giorni uscirà da Skira La notte tu mi fai impazzire. Gesta erotiche di Agostino Tassi. Perché un libro su un pittore del Seicento? Che cos’ha di attuale?
«Doveva essere un libro su Artemisia Gentileschi, pittrice caravaggesca adottata dal femminismo. Poi mi sono accorto che era già stata celebrata e che la storia del suo stupratore era più nuova. È una storia che illumina i traffici d’arte, religione e politica dell’epoca e che si concentrano nella figura di Cosimo Quorli, potentissimo e corrotto furiere del Papa. In confronto Mafia capitale è roba da educande».
Dopo tanto tempo ha uno spazio in tv non come ospite. Che cosa le sta dando?
«Molto entusiasmo. In Giovanni Minoli ho trovato un maestro generoso e partecipe. Con lui mi sento come quando da adulto sono andato a prendere lezioni di russo, sedendomi a fianco dei bambini, armato di quaderno per imparare a fare le aste».
Con lo zainetto. (da La Verità)