Restituire l’America alla Grandezza: come Donald Trump ha conquistato gli americani rigenerando il sogno del “Destino Manifesto”
In queste ore gli analisti di tutto il mondo inondano con fiumi d’inchiostro materiale o digitale i nostri media. Tutto il mondo osserva stranito i primi passi dell’istrionico tycoon statunitense, spaccando il capello (biondo, s’intende) in quattro e scandagliandone ogni parola. Pochissimi avevano previsto questa vittoria, quasi nessuno ne aveva ipotizzato le proporzioni, nessuno ha idea di quali saranno le conseguenze.
La vulgata europea, che riflette la luce distorta dei media liberal statunitensi, quasi tutti schierati militarmente ad organo di propaganda della sconfitta Hillary Clinton, ci racconta, cospargendosi il capo di cenere, che è stata la vittoria dell’odio razziale dei maschi bianchi a difesa di privilegi fuori tempo massimo. Paul Krugman, economista e premio Nobel, editorialista per il New York Times, per esempio, vagheggia di “persone bianche e abitanti delle zone rurali“ che hanno come unico interesse “sangue e terra, patriarcato e gerarchia razziale”.
Rassicurati sul fatto che le elezioni non sono state vinte da Walther Darrè, ministro del Terzo Reich ed autore di “nuova nobiltà di sangue e suolo”, visto il colossale abbaglio che questi media hanno preso sostituendo i propri desideri alla realtà nel raccontarci questa campagna elettorale (per inciso, una delle più interessanti ed avvincenti degli ultimi venti anni), s’impone un certo scetticismo nella lettura di certe analisi.
E se tra i principali motivi per cui Donald Trump ha vinto le elezioni se ne potesse individuare uno tanto semplice quanto affascinante? E se Donald Trump avesse vinto perché ha saputo parlare al cuore degli americani oltre che alla pancia (e al portafogli), proponendo un programma semplice ma ambizioso, ma soprattutto orientato verso il sogno di restituire l’America alla Grandezza (make America great again)?
Tutta la storia degli Stati Uniti è stata ispirata dalla dottrina del “Manifest Destiny”, la vecchia idea, coniata originariamente dal giornalista John O’Sullivan nel 1845 che, riguardo all’annessione dello stato del Texas, scriveva “è diritto del nostro destino manifesto di diffonderci e possedere l’intero continente, che la Provvidenza ci ha dato per lo sviluppo di un grande esperimento di libertà e di autogoverno federato”.
Questa fortunata espressione cristallizzava in realtà in parola uno spirito di frontiera mobile, di sogno ottimistico, che fin dall’arrivo dei primi coloni europei sulle coste del continente ne aveva plasmato i destini e le dottrine politiche.
L’idea, insomma, secondo la quale, gli Stati Uniti sono destinati, per volontà divina, a rivestire un ruolo di primo piano nel mondo, una missione alla quale ogni singolo americano può partecipare realizzando le proprie ambizioni attraverso la piena espressione del proprio talento qualsiasi esso sia.
Hillary Clinton offriva agli elettori, prima ancora che il proprio programma, la propria figura, compromessa da decenni con l’establishment, di custode rassicurante dello status quo. Un’idea basata sulla frammentazione della società, sulla categorizzazione dei cittadini in minoranze (le donne, i giovani, gli ispanici, gli omosessuali), e sulla tutela delle stesse basata sulla dottrina dei Diritti Civili.
Donald Trump invece li ha stregati con qualcosa di più: un sogno collettivo, proprio quello che manca adesso anche nella nostra Europa calcificata dagli orrori dei grigiocrati di un’Unione che, lungi dal sogno dell’Europa Unita, si sta rivelando sempre di più una distante macchina burocratica invisa ai cittadini. Una macchina burocratica che sta uccidendo la grande idea dell’Europa unita.
Il presidente uscente Barack Obama, con un discorso che ha brillato per stile e Nobiltà di parola, ha salutato il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti invitando tutti gli americani a “fare il tifo per lui per guidare ed unire il Paese”.
Non resta che osservare per vedere se il sogno di restituire l’America alla grandezza si rivelerà parte del Destino Manifesto o soltanto il colpo di teatro di un grande comunicatore.