Ha vinto l’America profonda, inquietante, “pericolosa”. La stessa del sogno americano tradito, quella che conserva l’anima del Far West. Con Donald Trump vincono gli ultimi brutti, sporchi e cattivi, quelli che non vanno bene per le foto strappalacrime. Hanno vinto i redneck, i cafoni, i provinciali, gli appezzentuti. Ha vinto, alla faccia dello scintillante bel mondo della finanza, l’America di Bukowski, di Miller e di Fante e ha perso il glamour di Hollywood e delle starlettine. Ha vinto il cinismo disincantato di Boe Szyslak e ha perso l’insopportabile ipocrisia moralista di Lisa Simpson.
È questo l’unico dato certo, credibile e analizzabile che ci arriva dalla lunghissima nottata elettorale americana. Gli Usa rurali, popolari, dei sobborghi, dei bar sporchi dove Petey la Civetta cerca clienti a un dollaro mentre Lenny e Carl si scassano con l’ennesima pinta sgasata hanno dato alla classe dominante (diciamo estabilishment, che è più bello) una lezione severissima. Classe dominante, già.
Gli artistoni di grido si sono dati tutti appuntamento sotto la gonna metallica di Hillary. Fuoco di fila generale e generalizzato. Gli ottimati trasgressivi che sostengono i loro editori, i loro discografici, i loro padroni. Legittimo, per carità. Che tristezza però vedere i gangsta del rap che abbracciano il potere costituito. Ma ve lo sareste mai immaginato Fabrizio de André sul palco di Amintore Fanfani?
Gli analisti che compiono studi per i candidati, che poi si rivelano sballati. Ma possono mai questi andare contro i loro Mecenati che scaricano dalle tasse le cospicue donazioni ai loro centri di ricerca?
E i blogger, gli aspiranti opinion leader, i volti nuovi e i personaggi emergenti potrebbero mai coronare i loro sogni andando contro ai padroni del vapore dai quali implorano attenzione, elemosinano un gesto benevolo sperando un giorno nell’ammissione al più esclusivo dei Country Club?
Grazie alla rovinosa caduta di Hillary scopriamo che tutti tengono famiglia, pure Madonna, Snoop Dog e Miley Cirus.
Ma a ‘sto punto (e a proposito di familismi) uno che è già incazzato perché gli hanno fatto credere nel sogno americano e poi s’è visto incatenato a contratti che gli negano pure il diritto di andare in bagno (ricordate?), uno che vede i figli condannati a fare i venditori di crack porta a porta perché il college costa talmente tanto che non è proprio il caso nemmeno pensarci, uno che altra consolazione non ha che la birra da Boe, perché dovrebbe abbozzare ai desiderata dello stesso estabilishment che ne ha relegato problemi e difficoltà fuori da ogni agenda politica?
Perché è l’occasione storica per votare una donna! E allora la moglie del tizio di cui sopra, a cui le serie tv hanno imposto di non farsi passare la mosca al naso e di strepitare col divorzio appena il marito si azzarda anche solo a guardare una squinzia a caso per strada, perché dovrebbe sostenere la moglie (ipocrita) di un ex presidente (non proprio eccellentissimo) che ha perdonato pubblicamente decine di tradimenti perché aveva bisogno della legittimazione politica che solo il di lui cognome poteva dargli?
Qualcuno dirà che questi non sono ragionamenti d’alta politica e che l’argomento è ben più complesso. E sbaglia. Non si governa senza l’appoggio del popolo, nonostante quello che accade in Europa.
L’autocrazia del denaro ha misurato con la signora Clinton la sua falla più grande: più sei autoreferenziale, più compri consenso, più ti meriti le pernacchie. E più sali, più farai rumore. Donald Trump è uno che s’è candidato per sfizio ed è stato votato per sfregio. E ha vinto, da solo, contro tutto e tutti. Adesso guiderà la (fu?) prima potenza mondiale. Nessuno si aspetta niente da lui. Ottimo: quando è grande la confusione, la situazione è eccellente. Auguri.