I votanti millennials (oggi dai 18 ai 36 anni), cresciuti nelle ricchezza e dopo confrontati con la povertà, sono poi, nel 66 per cento dei casi, i più pessimisti di tutti sul peso del loro voto, e del voto in generale.
di Claudio Risé – 31 ottobre 2016
Non è solo Donald Trump a non fidarsi delle elezioni americane. Secondo un sondaggio realizzato dal Prri (Istituto partner della prestigiosa Brookings Institution) solo meno della metà degli americani pensa che il proprio voto verrà contato correttamente. La maggior parte ritiene poi che comunque la cosa non avrà nessuna importanza, perché in ogni caso le decisioni politiche vengono influenzate e decise nel mondo degli affari. Non proprio una visione che ti invoglia a votare, e a credere nei risultati del voto. La cosa più rilevante emersa dal sondaggio, ha dichiarato al New York Times Robert P. Jones, Ceo di Prri, è che
«gli americani sono fondamentalmente divisi tra quelli che pensano che il problema più grave siano i brogli, e quelli che pensano che invece sia la revoca del diritto di voto».
Per via delle diverse legislazioni nei singoli Stati infatti negli Stati Uniti il voto è spesso negato a persone qualificate a esercitarlo, e questo fatto è ormai ampiamente percepito nell’elettorato come arbitrario. Mentre la questione dei brogli, almeno secondo Jones, sarebbe di poco rilievo, l’artificiale riduzione del corpo elettorale, contro la quale si sono levate proteste lungo tutta la storia americana, ha oggi un peso maggiore. Nel sondaggio di Prri il 41 per cento degli intervistati ritiene che le questione più importante sia «la negazione del voto a chi ne avrebbe diritto», e il 37 i brogli. Comunque solo il 43 per cento degli elettori, con maggiore frequenza elettori di Hillary Clinton, pensa che il suo voto sarà contato come si deve. Il 57% del totale, e addirittura i due terzi degli elettori indipendenti da partiti, pensano invece che il proprio voto non ha grande importanza, perché tanto la politica e le elezioni sono controllati dall’establishment finanziario. I votanti millennials (oggi dai 18 ai 36 anni), cresciuti nelle ricchezza e dopo confrontati con la povertà, sono poi, nel 66 per cento dei casi, i più pessimisti di tutti sul peso del loro voto, e del voto in generale. I soliti millennials, secondo Robert Jones,
«con la loro classica sfiducia verso le istituzioni in generale»: «certo, ciò non fa presagire niente di buono per la partecipazione civica».
Sulla posizione dei milennials verso i sistemi democratici però stanno uscendo dati molto più inquietanti di questo sondaggio. Ad esempio un recente studio di ricercatori delle università di Harvard e Melbourne, pubblicato sul Journal of Democracy, secondo il quale il 25 per cento dei millennials americani ritengono che la democrazia sia un cattivo, o addirittura pessimo modo di amministrare il paese. E il 26 per cento di loro considera di nessuna importanza per la gente scegliere i propri leader con libere elezioni. Oltretutto i millennials sembrano anche più inclini all’autoritarismo. Infatti, secondo lo studio, sarebbero rispetto agli over 75 (+ 45) , e ai baby boomers (+19) molto più disponibili ad accettare un colpo di Stato militare in caso di incompetenza del governo. Del resto il loro disinteresse verso la democrazia e i suoi riti (tra i quali il votare) e il fastidio verso le posizioni dei più poveri e delle popolazioni rurali (che si sta ripetendo oggi negli Usa) è stato uno degli ingredienti che hanno consentito in Inghilterra la vittoria della Brexit (anche se poi molti fra loro volevano abrogarla). Un’insofferenza certo politicamente scorretta, ma molto diffusa tra la gente, si sta manifestando in quasi ogni aspetto della società americana, come del resto in Europa. Descriverla con precisione infastidisce. Ma è probabilmente più sano che guardare da un’altra parte.