È uscito pazzo José Mourinho. Capiterebbe a chiunque, c’è da capirlo: dopo aver fatto spendere vagonate di denaro contante allo United, Mou si ritrova – dopo dieci giornate – a pari punti con il piccolissimo Watford di Walter Mazzarri. Ed è una bella nemesi, per il borioso portoghese.
C’è già chi parla di maledizione, per il Manchester United. Dopo l’addio alle armi di sir Alex Ferguson, nessuno è riuscito a far godere gli innamorati tifosi Devils. E dove ha fallito il maestro Louis Van Gaal, pare stia fallendo (almeno per il primissimo scorcio di Premier) anche l’allievo José. Non c’è nessuna maledizione, però. Fidatevi. È solo che il pallone è magnificamente rotondo, splendidamente infido e infausto a chi è abituato a ragionare di calcolatrice. Perciò se ne strafrega dei fatturati (checché ne dica il buon Aurelione de Laurentiis) e va dove dice lui.
Bisogna pur capire che non sono i soldi (da soli) a fare di una squadra un club vincente. Pare che il caso Juventus debba insegnare, moltissimo, anche oltre Manica. A Torino, dopo la retrocessione d’ufficio del 2006 e la nota vicenda Calciopoli, la società ha deciso semplicemente di distruggere tutto e tutti (gli altri). Ha pianificato, programmato, sbagliato e corretto in corsa. Ora, in Serie A, anche solo ipotizzare che lo scudetto possa fuggire dalla bacheca bianconera è motivo valido per vedersi destinatari e fruitori di un Tso.
Senz’anima non si vince. Certo, poi ci vogliono anche i soldi. Ci vuole anche lo stomaco di sabotare le avversarie, la ferrea volontà di ammazzare il campionato. A tutti i costi, a prescindere dagli altri. Se tocca sporcarsi le mani, ebbene, bisogna farlo.
Mourinho, che pure parla tanto, dovrebbe saldare lo spogliatoio, restituire un’anima alla squadra che adesso passeggia e trotterella all’Old Trafford. Ferguson, in fondo, ha vinto così.