
“No alla riforma Renzi e la destra ritrovi posizioni forti su temi centrali della politica italiana”.
Per molti il senatore e professore Gaetano Quagliariello, leader del movimento IDeA (Identità e Azione), è il vero frontman del centrodestra per il No al referendum costituzionale. Andatosene via dalla maggioranza – “proprio quando tutti cercavano di entrarci” – e fondato un nuovo polo, il senatore si è schierato sul campo di battaglia scrivendo, con Valerio Onida, “Perché è saggio dire No: la vera storia di una riforma che ha cambiato verso” (ed. Rubbettino), pamphlet di successo nazionale. Come un grande riscontro nazionale sta registrando il suo giro per lo Stivale. Abbiamo voluto ascoltare le sue ragioni e capire quale possa essere il futuro del (centro)destra.
“Ricordo a Renzi che io la riforma alla fine non l’ho votata, dopo aver posto invano una serie di condizioni perché fosse migliorata e riequilibrata. Gli ricordo anche che fra queste condizioni vi era la modifica della legge elettorale: all’epoca mi fece rispondere con disprezzo, oggi è lui ad aver ‘cambiato verso'”. Senatore, ci ha parlato di merito e metodo. Ci spiega il suo No?
“Penso che le istituzioni vadano ammodernate. La politica, per riprendersi, deve superare il bipolarismo che ha caratterizzato il ventennio 1994-2013, che ha fatto nascere l’antipolitica e ha ucciso il bipolarismo stesso. I cittadini si sono stancati di liti da ultras: servono nuove regole per riconoscersi”.
Da dove partire, allora?
“Una riforma costituzionale è un processo, non un istante: serve essere inclusivi. Io ci ho provato con tutto me stesso. Sono stato anche segretario NCD e con il nuovo governo ho fatto un passo indietro, la politica è impegno civile e lealtà: ho sempre detto chiaramente la mia idea di riforma. Nei fatti la proposta del governo è andata sempre peggio, ha escluso sempre più gli altri. Ebbi rassicurazioni private sul miglioramento della riforma e sulla legge elettorale; queste rassicurazioni furono smentite pubblicamente! Avvertii il governo e Alfano che, se al secondo passaggio al senato non ci fosse stato impegno pubblico per modificare la riforma e cambiare l’Italicum, sarei uscito dalla maggioranza. E l’ho fatto: su questo non transigo. Forse avevano sottovalutato la questione”.
Quali furono le sue “richieste” imprescindibili?
“Per la riforma costituzionale avevo chiesto di provvedere alla procedura sull’iter legislativo in caso di disaccordo tra Presidente della Camera e del Senato; che in Senato la rappresentanza delle Regioni fosse organica e non politica (invece siamo andati esattamente nel senso opposto: i membri del Senato rappresenteranno i loro partiti, non le Regioni); di fissare in Costituzione lo statuto dell’opposizione con commissione paritetica – presieduta da membri dell’opposizione – sull’andamento dei conti pubblici.
Per la riforma elettorale avevo chiesto il modello della coalizione e non del partito e l’apparentamento al secondo turno. Non è stato accolto nessuno di questi emendamenti e ne ho preso atto, sulla Costituzione non si scherza. Sono sceso dal carro del vincitore proprio mentre tutti ci salivano”.
Da questa presa di posizione nasce IDeA. Primo passo per un fronte unito del centrodestra?
“Idea è una casa per liberali, cristiani e per un centrodestra con avversari, non nemici. Un grande fronte unito si può fare. Le battaglie unitarie le abbiamo promosse proprio noi: sulle unioni civili siamo stati determinanti per la battaglia contro il ddl Cirinnà e il gender. E sempre grazie a noi a Matera, per il No, abbiamo riportato sullo stesso tavolo Tremonti e Brunetta. Per una grande coalizione servono proposte governative. Questa nuova grande area di destra, nei primi cento giorni, dovrebbe decidere le sue proposte sul fisco, sul lavoro, sull’immigrazione, sull’Euro, sui temi eticamente sensibili, sulla scuola e sulle università. E soprattutto avere riferimenti e sostanza dietro i tweet”.
Proprio tweet e slogan sembrano essere i simboli di Matteo Renzi. Come giudicare il suo scontro con De Mita?
“L’incontro conferma ciò che De Bortoli diceva – e aveva ragione almeno per metà – su Renzi: “E’ un maleducato di talento”. Sulla sua maleducazione non c’è dubbio, sul talento sì. L’età va rispettata, Renzi ha disprezzo per gli anziani (cavalca l’onda della rottamazione) ma poi li ricerca in televisione per dare l’immagine del progetto giovane che combatte il vecchio e i vecchi”.
L’altro giorno lei era a Lucca con Claudio Borghi. Ha detto che il No è una battaglia liberale contro l’arroganza.
“Il liberalismo popolare – diverso da quello giacobino – si fonda sulla centralità della persona, sull’autonomia dei corpi intermedi, sociali ancor più che istituzionali. Cassese sul Corriere ha scritto che Renzi è antiliberale: pensa di risolvere tutto dall’alto, con un filo diretto tra leader e popolo, tagliando ciò che c’è in mezzo. L’ha fatto nell’informazione (le grandi sostituzioni nella Rai sono un esempio lampante), nella Pubblica Amministrazione (riforma della dirigenza) e soprattutto nell’università (con il Decreto Natta, il governo potrebbe scegliere i grandi professori da assumere nelle università italiane, reprimendo l’autonomia universitaria)”.
In Europa si stanno diffondendo modelli come l’FPÖ in Austria e Afd in Germania che affiancano a temi liberali – storicamente di loro appannaggio – una forte componente identitaria. Sono modelli extranazionali a cui guardare con interesse?
“La verità è che il Ventunesimo secolo ha problemi inediti, servono nuove risposte. L’immigrazione è un problema di dimensioni bibliche. Non c’è bisogno di slogan ma ipotesi per governarlo. C’è il tema della sicurezza, il welfare non è declinabile con le categorie del ‘900, c’è il problema dell’ingegneria genetica. È cambiato tutto, sono d’obbligo nuovi modelli. Abbiamo tutti bisogno di una riflessione, l’immagine è inutile. L’immagine riesce a sopperire per due, tre, quattro mesi, poi viene sommersa. E lo stiamo vedendo con Renzi: un anno fa era il Padreterno, ora si sta crudamente mostrando per ciò che è”.