25 ottobre 1985. Muore nella sua casa di Léchagat, in Bretagna, Olier Mordrel, il maggior esponente dell’indipendentismo bretone, ma anche architetto, artista e storico, sopravvissuto a tre condanne a morte.
Ho avuto il privilegio di conoscerlo, di essere stato accolto nella sua casa nei pressi del porto di Concarneau e ne conservo un ricordo vivo e commosso, per la sua storia, per la narrazione che me ne fece, per il suo senso dell’humor anche quando accennò ad eventi tragici.
Figlio di un Generale dell’esercito francese, aveva studiato a Parigi alla scuola di Beaux-Arts ed era diventato architetto, professione che aveva poi esercitato per dieci anni a Quimper, nella sua Bretagna. Fra tra tutti i dirigenti bretoni fu il più sinceramente disposto al dialogo con la Francia ma… inutilmente.
Assieme a François Debauvais fu a capo del Parti National Breton; direttore dal 1921 di “Breiz Atao” (Bretagna sempre!), della rivista culturale “Stur”, e di “Peuples et Frontières”, organo delle minoranze etniche di Francia (ebbe per collaboratori tra gli altri anche il còrso Rocca, il fiammingo Gantois e l’alsaziano Bickler) ma anche di altre minoranze europee dalla Catalogna all’Ungheria. Di fatto fu uno dei maggiori teorici del regionalismo bretone che guardava alle origini celtiche.
Negli anni Trenta riuscì ad affiancare all’attività politica anche quella di architetto della quale restano alcune opere d’arte come l’edificio della casa fotografica Kodak, costruito a Quimper.
Quando già nel 1938 si iniziarono ad avvertire le avvisaglie di un prossima guerra, Mordrel, da pacifista, in ogni sede manifestò la posizione del PNB: sul “Breiz Atao”, nelle riunioni di partito e, un anno prima dello stesso allarme che sarà lanciato (il 4 maggio 1939) dall’ex ministro socialista Marcel Déat “Mourir pour Dantizg?” affermò l’8 maggio 1938 alla manifestazione per commemorare i 450 anni della battaglia di Saint-Aubin du Cormier, tra franchi e bretoni: “Pas de guerre pour les Tchèques contre la volonté du peuple breton”. Una scelta opposta a quella della politica internazionale della Francia, finalizzata a mantenere in uno stato di sudditanza la Cecoslovacchia, Stato a sua volta accentratore e oppressore delle sue minoranze nazionali.
La posizione politica di Mordrel e del PNB provocò la reazione dello Stato francese (già dal ‘37 era stata vietata la circolazione di “Breiz Atao” nelle caserme) e scattò il meccanismo della repressione; Mordrel e Debauvais furono processati per “attentato all’integrità territoriale nazionale”.
Gli accusati si presentarono in tribunale (Debauvais rientrò dal Belgio dove si era rifugiato) per esporre le loro ragioni ma furono condannati ad un anno di carcere.
L’anno successivo, alla vigilia della dichiarazione di guerra della Francia alla Germania e quindi dell’inizio del conflitto mondiale, il congresso del PNB che si doveva tenere nel castello dei duchi di Rohan a Pontivy, fu vietato e il 20 ottobre, a guerra iniziata, il partito fu posto fuori legge per decreto governativo; la pressione poliziesca si fece ancora più pesante con perquisizioni a centinaia di militanti e alle sedi di associazioni collaterali come la Maison de Bretagne a Parigi, centro di accoglienza per i soldati bretoni di passaggio dalla capitale; in particolare il Governo cercò di colpire gli intellettuali: furono inquisiti Yann Bricler a causa della sua “Histoire de la Bretagne”, alcuni scrittori, un docente di Lettere dell’Università di Nantes dirigente di un Cercle Celtique; fu impedito l’accesso ai corsi allievi ufficiali, perseguitato anche l’abbé Perrot…..
Mordrel fu costretto a rifugiarsi in Italia – allora ancora neutrale – dopo aver diffuso una dichiarazione con la quale assieme all’affermazione dell’indipendenza della Bretagna raccomandò ai compatrioti di sentirsi svincolati da ogni impegno nei confronti della Francia.
La posizione pacifista sua e degli altri leader bretoni era chiara: niente guerra.
Ma l’ospitalità dell’Italia durò poco; al fine di evitare complicazioni diplomatiche internazionali Mordrel fu accompagnato alla frontiera.
Si rifugiò quindi in Ungheria e poi passò in Germania.
Nel maggio 1940 il Tribunale militare di Rennes condannò a morte in contumacia sia Mordrel che Debauvais (anche lui rifugiato all’estero) per “attentato alla sicurezza dello Stato e all’integrità del territorio” e per invito alla diserzione.
Ma anche la permanenza in Germania non fu delle migliori; a Berlino, la piccola comunità di bretoni aprì un ufficio del Bretonische Regierung (Governo Bretone), tollerato discretamente dalle autorità tedesche che delegarono i rapporti con gli esuli al barone Schenk von Stauffenberg, zio del futuro attentatore alla vita di Hitler nel luglio 1944.
Mordrel inviava quotidianamente in Moravia, a Kremsier, i testi per le due trasmissioni radiofoniche dirette alla Bretagna. Sia lui che gli altri esuli bretoni però respinsero decisamente l’offerta fattagli da Karl Epting, lo scrittore e filologo fautore da sempre del riavvicinamento franco-tedesco, di curare la “Propaganda francese” in Germania. I bretoni colsero invece l’occasione per chiedere a loro volta l’intervento di Epting per liberare i loro connazionali (francesi) prigionieri di guerra.
Dopo l’armistizio firmato tra Francia e Germania, lo scenario politico cambiò. Hitler, intenzionato a dar vita ad una politica di conciliazione con la nuova Francia del Governo di Philippe Pétain, puntava a conservare l’integrità del territorio francese penalizzando così le aspettative degli autonomisti.
Il 3 luglio 1940, lo stesso giorno nel quale gli Inglesi attaccarono proditoriamente la flotta francese nella baia di Mers-el-Kébir, distruggendola e facendo migliaia di morti tra i francesi, i dirigenti del PNB, dopo aver innalzato la bandiera bianca e nera della Bretagna sul castello di Rohan, dettero vita al Comité National Breton (CNB) del quale Mordrel fu nominato vice presidente e lanciarono un Manifesto in 18 punti (il Programme de Pontivy).
Nello stesso tempo Mordrel riattivò la stampa del partito facendo uscire il un nuovo settimanale del PNB, “L’Heure Bretonne” (simbolicamente e “provocatoriamente” il primo numero fu fatto uscire il 14 luglio, la celebrazione nazionale francese), ma affidandone la direzione a Morvan Lebesque per poter dedicarsi interamente all’attività politica che lo portò di lì a poco, nell’ottobre 1940, a riassumere la guida del Parti National Breton. Ma per prima cosa Mordrel si recò a Berlino a nome del CNB per sollevare la “questione bretone” presso le autorità d’occupazione. Obiettivo, una Bretgna libera nel quadro di una grande Europa rispettosa delle tante sue piccole patrie.
A fine 1940 Mordrel fu messo in minoranza nel partito e dette le dimissioni dalla direzione del CNB; la commissione di francesi incaricati dell’applicazione degli accordi di armistizio tra Francia e Germania, pretese l’arresto di Mordrel che fu quindi portato in Germania anche se il prof. Leo Weisberger gli offrì l’incarico di lettore nell’Università di Bonn.
Fu autorizzato a rientrate in Francia solo nell’autunno 1942, giusto in tempo per partecipare al funerale del padre a Nantes.
In quel lungo periodo non ebbe ruoli politici, si occupò solo della pubblicazione della rivista culturale “Stur” e poté riprendere la frequentazione con l’amico Louis-Ferdinand Céline.
Ritornò ad avere un ruolo quando Jacques Doriot, l’ex Segretario generale della Jeunesse Communiste francese (l’organizzazione giovanile del Partito Comunista) divenuto leader del più importante partito “fascista” francese, il Parti Poupulaire Français, lo invitò a partecipare al congresso nazionale del PPF che si tenne a Parigi durante il quale il “Grand Jacques” – di madre bretone – nella sua relazione trovò spazio per rendere omaggio alle “piccole Patrie”. In seno al PPF Doriot dette vita ad una Commission d’Etudes Bretonnes e poco dopo Mordrel iniziò la sua collaborazione a Radio Paris assieme all’attore di teatro e di cinema Maurice Rémy, anch’egli doriotiste.
Totalmente disilluso, Mordrel rifiutò ogni altro incarico. Non facendosi alcuna illusione neppure sulla sua sorte al termine del conflitto, nel 1944 si trasferì con la famiglia a Strasburgo; di lì a Friburgo e poi a Ulm, sfuggendo miracolosamente alle distruzioni provocate dai bombardamenti Alleati sulle città tedesche.
Il rappresentante dei francesi di lingua fiamminga, dott. Quesnoy (che sarà fucilato nel 1945) da Berlino gli offrì di far parte di un Comitato interetnico francese del quale facevano parte anche altre personalità bretoni. Il comitato si proponeva di tornare in Francia, nel caso di un rovesciamento delle sorti della guerra, ponendo la condizione ai Tedeschi di una suddivisione del Paese su basi etniche in una federazione di tipo svizzero.
Mordrel accettò senza entusiasmo e senza illusioni.
Con lo stesso spirito accettò di far parte di un Comité Exécutif Breton, assieme allo scrittore di letteratura per l’infanzia Roparz Hémon e ad altre personalità bretoni, lanciato da Doriot dall’isola di Mainau, sul lago di Costanza.
Rientrato a Berlino fu accusato di relazioni con personaggi politicamente sospetti, arrestato dalla Ge.Sta.Po. e trasferito a Seyditz dove però fu liberato per intervento di Jacques Doriot. La vita sotto i bombardamenti aerei delle città tedesche gli ispirò delle liriche che pubblicò sotto il titolo di “Chants d’un réprouvé”.
Dopo aver messo al sicuro la famiglia (la moglie e i tre bambini) a Innsbrück, alla fine della guerra riuscì a entrare in Italia dove fu catturato dai partigiani.
Iniziò quindi un lungo peregrinare, durato mesi, da un carcere a un campo di concentramento (nella sua narrazione mi disse di essere stato anche a Firenze ma di aver visto solo il campo nel quale era rinchiuso!), riuscendo ad evadere nel 1946 proprio alla vigilia della consegna alle autorità francesi che l’avevano condannato a morte in contumacia.
Grazie alla rete di solidarietà dei Paesi di area celtica e ad ambienti della Chiesa cattolica, riuscì ad emigrare in Argentina.
Ritornò nella sua Bretagna nel 1972; nell’ultimo decennio della sua vita rimase una delle figure simbolo più rispettate dell’indipendentismo bretone, collaborò a “La Bretagne réelle” a l’”Avenir de la Bretagne”, a “Hespéride” e “Ar stoumer”, Dette alle stampe vari libri sulla sua esperienza di vita e sulla Bretagna. Di due me ne fece dono: “Le mythe dell’Héxagone” e “L’essence de la Bretagne”. (da Effemeridi del giorno)