«No, non è stato uno sbarco. In Sicilia è stata un’invasione». Lo dice Pietrangelo Buttafuoco e – a rigor di logica – avrebbe pure ragione. Qui si parla dell’operazione Husky, ovvero dell’ingresso via mare degli alleati in Sicilia nel luglio del 1943. Una pagina di storia rispolverata di recente da Pierfrancesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif, con il suo In guerra con amore. Nonostante l’incrocio storico-satirico, sul film è già pioggia di polemiche: sia da destra e che da sinistra. E non poteva essere altrimenti visto che sulle vicende di quei giorni l’ingrediente della pacificazione è tutt’altro che digerito.
Il guaio è che ci si scorda che allora si è combattuta una guerra assai crudele, con gli italiani da un lato e gli anglo-americani dall’altra. Si spararono addosso, da nemici, come è naturale che fosse. Gli alleati non vennero da liberatori, ma da occupanti. Lo dice la storia. «La battaglia per la Sicilia fu ferocissima. E i nostri combatterono. A Gela caddero 3.289 italiani», ricorda Buttafuoco. Finita la campagna nell’Isola, fu instaurato il governo dell’Amgot, un acronimo che parla da sé: «Governo militare alleato dei territori occupati».
Guerra e odio, dunque. Una pagina che Pietrangelo Buttafuoco ha vissuto in casa. Ricordi consegnati oggi ad Aldo Cazzullo e al Corriere della Serra: «Per me — dice — è una ferita straziante. Due miei familiari furono condannati a morte dal comando alleato per aver militato nei Far, Fasci d’azione rivoluzionaria, che difesero l’Isola. Altri parenti erano emigrati in America. Ogni volta che si rivedevano, si scambiavano accuse: “Voi ci avete bombardati!”. “Voi ci avete sparato contro!”».
Per questo l’autore delle Uova del drago non può non contestare a Pif la chiave narrativa della sua pellicola: «Nel tuo film gli americani sono i buoni — obietta Buttafuoco —. Non c’è il massacro di Acate: 76 siciliani inermi messi in fila e ammazzati, con l’unico scopo di terrorizzare i civili. Non c’è lo scempio del museo archeologico di Catania, con i reperti gettati in via Etnea e il direttore costretto a spazzarli. La Sicilia fu l’unica terra sottoposta al Comando di occupazione; dalla Calabria in su si chiamava Comando di liberazione. I siciliani furono trattati come nemici. E tali erano».
Sicilia, americani e Mafia. Sì, Pif tira in ballo un altro nodo spinoso: la “trattativa” per eccellenza: la presunta intesa tra il governo Usa e il boss Lucky Luciano. Per Mario Di Caro di Repubblica e Umberto Santino del Centro Impastato abbiamo a che fare con «molte forzature sul piano storiografico». Manco a dirlo, a capo di ogni ricostruzione ci sarebbe il Regime: «L’azione repressiva del prefetto Mori fu efficace nei confronti del ceto medio mafioso ma – dice Santino – non è vero che il fascismo aveva sconfitto la mafia. Le indagini degli anni Trenta testimoniano che c’era una mafia perfettamente organizzata». Di tutt’altro avviso Pietrangelo Buttafuoco: «Gli americani mandarono in fumo il lavoro del prefetto. Sciascia diceva che in Sicilia gli anti fascisti erano i mafiosi». E ancora: «Sciascia considerò la relazione di minoranza della Commissione antimafia, scritta dal missino Beppe Niccolai, come il testo fondamentale per capire la cancrena nata tra il 1943 e il 1947». Ecco, un testo da riprendere e studiare. Riga per riga.