
“Le lupe” (Baldini e Castoldi) non è solo un romanzo. E’ il bilancio di una vita. Anzi, di due o forse tre vite. E’ una condanna senza appello di certa borghesia romana. E’ un’autocritica esistenziale profonda. E’ il respiro e il pensiero di una donna. Ma soprattutto una dichiarazione d’amore sconfinato per i propri vent’anni e per gli odori, gli amori, i sapori e i sogni che li hanno permeati.
Del resto, la protagonista, Flaminia, 58enne assicuratrice di Roma nord (per chi non è romano, quella città nella città che taglia orizzontalmente l’Urbe e passa, da occidente a oriente, per Prati, Balduina, Camilluccia, Vignaclara, Cassia, Parioli, Quartiere Trieste Montesacro e Talenti) ricorda molto da vicini l’autrice Flavia. Ben oltre la stessa età e l’assonanza storica ed onomatopeica dei rispettivi nomi, In entrambe c’è quello spirito ribelle che per tanti, troppi anni, avevano cercato di comprimere, se non di sopprimere, che improvvisamente riemerge con forza. Uno spirito ribelle che ama la Giustizia, il Bene, l’Onestà e che odia l’Ipocrisia, il Male, la Cattiveria, la Furberia. Tutte rigorosamente con le maiuscole, come solo a vent’anni puoi immaginarle e volerle così. E infatti quella ragazza ventenne che esce da Rebibbia dopo tre mesi di carcere, con addosso il montone rovesciato, accolta dagli amici festanti, che fa il segno di vittoria con la mano è sia Flaminia sia Flavia. La giovane che ha vissuto fianco a fianco di coetenai che sono stati travolti e avvolti dalla spirale della violenza politica e della lotta armata è sia Flaminia sia Flavia. La militante politica che si è fermata a pochi centimetri dal baratro è sia Flaminia sia Flavia.
Ecco, questo continuo scavo nello stato d’animo dei propri vent’anni è la costante, il perno di tutto il romanzo. I ricordi si accavallano e si affastellano, sono una continua carezza che sfiora il lettore in molti momenti del libro. La tenerezza verso chi, tra i ragazzi di un tempo, ha fatto una brutta fine, si accompagna quasi a una sorta di senso di colpa per essersi salvata dal naufragio.
I riferimenti agli anni settanta sono tanti. La morte di Mikis Mantakas e quella di Alberto Giaquinto, fino alla mattanza di Acca Larenzia, che farà definitamente esplodere la polveriera romana. E poi il ricordo di Paolo Signorelli, il professore nero e le citazioni del Trattato del ribelle di Ernst Junger, una pietra miliare per un certo mondo.
Le lupe, se sei uno che viene da quella storia, ti piacerà di più. Se sei una donna lo apprezzerai ancora di più. Ma chiunque lo leggerà non potrà non innamorarsene perdutamente.