Grazie, Mattia Feltri. Grazie per aver scritto ciò che molti padri e madri – per pudore – non hanno il coraggio di dire neanche la sera a tavola. Sì, i compiti a casa sono troppi. Sì, gli eserciziari sono scritti in modo astruso, specialmente quelli di matematica. Sì, la scuola sta abituando i nostri figli a vivere in catene di montaggio permanenti. No, non è vita questa. Non lo è per loro, non lo è per i genitori, non lo è per nessuno.
La scuola italiana ha troppi problemi, e non possiamo scaricarli tutti sugli scolari. E quello del carico di lavoro (eccessivo) a casa dovrebbe allarmare più di altri. Appunto perché in gioco c’è il presente, il futuro e la libertà di una generazione a cui non è permesso dire di no. Prima di tutto per l’età, troppo bassa per essere presa in considerazione dai più grandi; troppo alta per godere dei vezzeggiativi che spettano agli infanti. Così i bambini delle elementari e delle medie sono in un limbo che loro stessi non sono in grado di riconoscere. Anche perché, da che mondo è mondo, non sta bene disattendere le istruzioni delle maestre. Una regola fondamentale e terribile che qualsiasi alunno conosce alla perfezione.
E non solo: da che mondo è mondo, è un triplo problema anche per i genitori interferire nella rigida disciplina educativa dei docenti. D’altronde si è sempre detto che tra famiglia e scuola c’è un patto a cui entrambi i contraenti devono attenersi con il sorriso tra le labbra.
Certo, le famiglie non sono più quelle di una volta, sono probabilmente meno coese, meno autorevoli, tant’è che i docenti devono faticare il doppio per farsi rispettare. Ma come la mettiamo, invece, con quelle famiglie dove – nonostante tutto – i genitori hanno tutta la voglia di passare del tempo con i propri figli? Succede che quel poco tempo svanisce tra l’ansia di richiamare la prole ai propri doveri e l’imbarazzo di non sapere risolvere quegli stessi esercizi a cui neanche i più piccoli sanno mettere mano. Ecco, se salta il patto anche con loro, i cocci non si raccolgono più, e sono guai.
Finiamola con l’ipocrisia, dunque. Basta con quell’atteggiamento che vuole i nostri figli sempre colpevoli o con il mantra che vuole i mali della scuola risolti con nuove dosi di compiti per casa o ricette pedagogiche tutte da sperimentare sul campo. Basta pure con il birignao in cui le nuove generazioni sono sempre peggiori delle precedenti. Quelli lì non ascoltateli, non sanno davvero com’è fatto il mondo. No, assolutamente.
Ciò non significa amnistiare preventivamente tutti gli scolari d’Italia, ma comprenderli. Va fatta, invece, una riflessione seria e anche dolorosa sul sistema scuola. Un dialogo a tre in cui siano coinvolte anche le case editrici. Sì, perché parte di questo dramma passa da loro, che immettono sul mercato edizioni sempre nuove e sempre più articolate, complesse e aride dei libri di testo. A che servono quelli per le vacanze? A nessuno, se non a loro. Meglio i classici, da leggere magari sotto l’ombrellone, che certe mostruosità.
Suvvia, si è davvero perso il bandolo della matassa. Le linee guida della scuola italiana non vanno suggerite dal mercato, ma dalla tradizione. Francamente, almeno chi vi scrive, ne aveva una a cui ancorarsi. Tanto da sapere che i propri libri di scuola erano grossomodo simili a quelli dei propri genitori e dei propri nonni. Allora, c’erano i libri di lettura, c’erano le antologie. C’erano i Leopardi, gli Ungaretti e il Pianto antico di Giosuè Carducci. Contenuti che se proprio non riuscivi a imparare a memoria, almeno ti fornivano il perché quella piazza si chiamasse così. Li abbiamo ancora, per carità, ma conditi da schede e glosse assolutamente invasive, finalizzate non a vivere i testi ma a fornire protesi per esercizi su esercizi.
Insomma, chiediamo tanto – troppo – lavoro ai nostri figli, ma per ottenerne cosa? Se un tempo la scuola aveva il compito formare persone capaci di compiere autonomamente scelte responsabili, ultimamente dobbiamo sorbirci le ansie di figli ossessionati dalla paura di sbagliare, timorosi di alzare la mano anche per andare in bagno. In pratica, degli imbranati.
No, la vita è diversa. Ci sono gli imprevisti e le botte di culo. E per goderseli, o risolverli, ci vuole coraggio, meditazione, inventiva, tempo. Ecco, proprio quella categoria che stiamo sottraendo ai nostri figli tra scuola calcio, catechismo, visite dal dentista, festicciole, feste grandi e via discorrendo. Non arriviamo, per favore, a invocare la soluzione proposta da Giovanni Papini con Chiudiamo le scuole, fermiamoci prima. Ripartiamo dall’a-b-c, appunto: costruire persone, non ingranaggi.