Gerard Piqué è ripiombato nella bufera mediatica, reo di essersi volutamente tagliato la manica della divisa con i colori della bandiera spagnola, nell’ultima partita della nazionale. È solo l’ultimo gesto che confermerebbe l’animo del colosso blaugrana, da sempre sostenitore dell’indipendentismo catalano.
Piqué, però, questa volta non è riuscito a trattenersi. Nel post-partita, più che perdere troppo tempo in scuse – scuse che sono comunque arrivate, con tanto di prova d’innocenza in merito al taglio artigianale della camiseta – l’antimadridista si è scagliato innanzitutto contro la tifoseria delle Furie Rosse, che ha “ucciso la sua voglia di giocare in nazionale”: ed eccolo annunciare il suo ritiro subito dopo Russia 2018.
Le dichiarazioni e questa presa di posizione rendono il centrale pluripremiato un unicum manifesto dell’eroismo che, nell’eterno scontro tra coerenza e acclamazione, ha dimostrato che non è mai troppo tardi per scegliere la prima via, ridendo in faccia allo sterminio della gogna mediatica. Il mondo del calcio – e, tocca dirlo in questo caso, dell’ottusa tifoseria spagnola – è spaesato di fronte a un personaggio improvvisamente divenuto padrone, slegato da logiche e direttive e anche da goffe frasi di circostanza in sua difesa da parte della dirigenza – non più obbligata, dunque, a doverlo “coprire” -. Un personaggio forte, in grado, in un certo senso, di fare dell’indipendentismo una ragione di vita e di destino, di farsi voce di battaglia e icona pulita di autodeterminazione. Evviva Gerard Piqué, baluardo di libero pensiero e un po’ sornione, ora davvero legittimato a dire alle merengues: “Veniamo a prenderci la Coppa del vostro Re”.