Capita a volte che nell’asfittico dibattito politico italiano, impantanato fra le faide interne del Pd e l’impari duello fra sostenitori e detrattori della riforma costituzionale di Renzi, irrompa un refolo di aria pura. Vale a dire un’analisi che vada al di là delle miserie quotidiane della politica politicante e dei banali commenti di bottega.
E capita persino che questo commento giunga da un interlocutore che non ti aspetti, personaggi come l’ex “toga rossa” e presidente della Camera Luciano Violante. L’ex deputato del Pci, che ha poi proseguito la sua carriera politica nelle varie declinazioni del partito comunista (Pds, Ds e infine Pd), ha firmato sul Corriere della Sera un editoriale interessante già dal titolo: «Le destre all’attacco delle élite e le sinistre restano indietro».
Dopo la Brexit
Il tema dell’editoriale di Violante è un argomento che su Barbadillo e altri organi d’informazione non conformi viene discusso da anni, ma che per la grande stampa mainstream – appiattita da sempre sull’assioma liberalprogressisti=buoni, nazionalpopulisti=cattivi – rappresenta una discreta novità. Che cosa scrive Violante di così innovativo? È presto detto: prendendo spunto dalle recenti dichiarazioni del nuovo premier conservatore Theresa May, l’ex presidente della Camera sottolinea che ora i Tories britannici si presentano come «il partito dei lavoratori, (May) ha elogiato lo Stato interventista, ha criticato le élite liberal, “più attente ai rapporti internazionali che alla gente della strada”, ha criticato i manager “che non hanno fatto sacrifici durante la crisi”, sacrifici che invece sono stati fatti dai “comuni cittadini”. È una destra che si sposta a sinistra per conquistare maggiore consenso? La questione non è così banale».
Sinistra al fianco delle élite
E non è banale neppure il resto dell’articolo, nel quale Violante ricorda come in Europa e in quasi tutto il mondo occidentale la critica delle élite al potere (non solo politico, ma soprattutto economico) sia diventata appannaggio di esponenti e movimenti considerati di destra o più genericamente populisti, mentre la sinistra arranca «più preoccupata delle grandi questioni del mondo che dei problemi quotidiani dei concittadini». Con un risultato grottesco: «Le forze di sinistra, forse ritenendo di rappresentare in ogni caso gli interessi del popolo più e meglio di altri, come per concessione divina, hanno smesso di occuparsene in modo prioritario. Hanno preferito dedicarsi alla scelta del capitalismo da sostenere e alle riflessioni sui cambiamenti indotti dalla globalizzazione. Si sono perciò trovate al fianco delle élite piuttosto che al fianco del popolo». Difficile distinguere queste parole da quelle usate negli ultimi anni da autori apparentemente molto distanti da Violante, come Alain de Benoist, Veneziani, Cardini o Buttafuoco.
L’offensiva delle “destre”
Nella conclusione del suo ragionamento Violante azzarda un’ulteriore analisi, che però appare una fuga in avanti, almeno se calata nella situazione italiana: «Le destre stanno già tentando una sintesi. Hanno incamerato la nuova forza che il capitalismo ha tratto dalla globalizzazione, hanno rivestito di panni popolari il loro tradizionale nazionalismo, si sono schierate contro le élite dando così una rappresentanza al rancore sociale di chi ha pagato il costo più pesante della crisi. Le sinistre sono più indietro». Riferito a un Paese dove il centrodestra è frammentato, in parte persino al governo con il Pd; dove il ventennale punto di riferimento politico, cioè Berlusconi, è ormai da tempo stabilmente «inciuciato» con Renzi (come dice Buttafuoco, Silvio sta ufficialmente con il «No» ma in realtà tifa apertamente per il «Sì», oltre a darsi malato per non fare campagna referendaria e a non cacciare un euro per la propaganda del Fronte del No); dove il partitino erede della tradizione politica del Msi e poi di An stenta a uscire dalla cinta daziaria di Roma; dove la Lega di Salvini non riesce a sfondare al centro-sud, vive di comparsate televisive e oscilla fra posizioni euro-populiste e uscite grevi da strapaese; ecco, parlare in Italia di «destre che stanno già tentando una sintesi» è un’ipotesi un po’ sovradimensionata.
La sfida del futuro
Sorvolando sullo sfacelo lasciato dalle «destre» negli ultimi dieci anni, dalla cruda e tagliente critica di Violante si può trarre un insegnamento importante. E cioè che “destra” e “sinistra” non sono solo categorie politiche novecentesche, superate dalla storia, ma veri e propri gusci vuoti che ciascuno riempie ormai a suo piacimento. E lo stesso ex presidente della Camera, che pure continua a utilizzarli come termini politici, ha ben compreso che la sfida del futuro è fra «coloro che difendono la sovranità delle comunità nazionali e quelli che si collocano in un’ottica globale». Forse andrebbe spiegato anche a chi si ostina a ipotizzare future destre centriste e moderate, destinate a rimanere subalterne al Renzismo e agli interessi privati del miliardario ottuagenario.