Un tonfo secco accompagna la rete del tre a zero firmata Ciro Immobile nella partita Udinese- Lazio, in un pomeriggio silenziosamente spettrale. Lo Stadio Friuli – ribattezzato esoticamente Dacia Arena dopo la sponsorizzazione – è avvolto in una enorme e surreale nube grigia che promette pioggia incessante. E pochi secondi dopo la fine della partita, infatti, dagli spalti si solleva la tempesta di protesta al suon di “Basta stranieri, adesso basta stranieri”. Il grido rabbioso, strillato a squarciagola, si scaglia contro la dirigenza Pozzo, artefice della decadenza senza freni dell’Udinese.
Sembrano lontanissimi, irriconoscibili, gli antichi fasti, i preliminari di Champions contro l’Arsenal, i gol di Di Natale. E quel grido chiede spiegazioni per l’estro di Lodi relegato in panchina insieme al giovane Faraoni (canterano nerazzurro un tempo nel giro della nazionale), al neoacquisto Angella e a Scuffet, che un anno fa rifiutava la chiamata del Cholo e oggi sonnecchia tra le riserve. I friulani sono stufi di vedere passare meteore d’oltremare visibilmente inadatte al campionato italiano. Perché forse, scavando più a fondo, oltre la sacrosanta e necessaria protesta contro i pochissimi giocatori italiani (su cui si deve, senza se e senza ma, tornare al più presto a investire, riportandoli al ruolo che gli compete: bandiere), il malcontento è dovuto al tragico e acuto susseguirsi di tutti gli acquisti fallimentari.
Non me ne vogliano i tifosi dell’Udinese, ma nessuno si lamentava dello squadrone guidato da Handanovic, Benatia, Asamoah, Inler e il craque Sanchez. La verità è che mancano loro. Ma, nel l’assoluta profondità, più di loro manca l’essenza dell’Udinese, bandiera senza tempo e senza eredi, un corpo con una maglia cucita addosso, intriso di quella strapaesana italianità perduta (ed evocata a gran voce) che vuol dire amore eterno: Totò Di Natale. Chiamano a gran voce lui. E intanto è arrivato Gigi Del Neri in panchina al posto di Beppe Iachini.