Mercoledì 5 ottobre Ernesto Galli della Loggia parlerà a Milano della Grande guerra e dei suoi esiti durevoli
Il 27 agosto 1916, un secolo fa, il Regno d’Italia dichiara guerra, controvoglia, all’Impero Germanico. La neutralità italiana verso Berlino era durata quindici mesi di più di quella verso Vienna; quindici mesi in meno di guerra contro la prima potenza militare europea che salvano dalla bancarotta il Regno d’Italia e dalla sconfitta il suo esercito. Certo, Impero Russo, Repubblica Francese e Regno Unito diffidano del Paese, il nostro, che si batte contro uno solo dei loro nemici. Ma l’Impero Russo crolla tra le rivoluzione di febbraio e quella di novembre 1917 e così gli altri due alleati – subito persa per strada la Romania, non ancora determinante l’intervento degli Stati Uniti – scoprono che il Regno d’Italia ha tenuto: a Caporetto barcollerà, ma non più della Francia a Verdun l’anno prima.
Procrastinare le ostilità con l’Italia è stato opportuno anche per l’Impero Germanico, già impegnato su due fronti. E’ stato un bene anche per la Svizzera, che per la Germania è la via breve verso la Lombardia. Se nel 1916 la neutrale Svizzera lasciasse passare le truppe germaniche, come nel 1915 ha la neutrale Grecia ha fatto con le truppe anglo-francesi, la Francia occuperebbe il Cantone di Vaud, il Cantone di Ginevra, il Cantone del Vallese, ma anche la Val d’Aosta, il Piemonte e la Liguria. Infatti la “linea Cadorna”, eretta tardi e in fretta a protezione di Milano, non è insuperabile. Alla fine del 1917 le truppe germaniche, unendosi sul fronte italiano a quelle slave e magiare della Duplice Monarchia schierate dopo il crollo russo, faranno la differenza e sarà appunto Caporetto; anche nell’estate 1918 esse faranno la differenza, andando a schierarsi sul fronte francese. E l’Italia riprenderà le terre perdute e prenderà quelle irredente.
Di ciò e delle conseguenze della Grande guerra rispetto ai maggiori Paesi europei, di cui scontiamo tuttora le gerarchie, parlerà a Milano – per l’Associazione nazionale dei volontari di guerra e l’Unuci – mercoledì 5 ottobre in via Duccio da Boninsegna 21/23, alle 18h – Ernesto Galli della Loggia.
Dalle rispettive unità nazionali (1861-1871), Italia e Germania o sono alleati o sono nemici: alleate dal 1882 al 1914; nemiche dal 1916 al 1918; alleate dal 1936 al 1943; nemiche dal 1943 al 1945; alleate, infine, dal 1949 a oggi.
Si dice che la sconfitta italiana nella II guerra mondiale, chiara dal novembre 1942 e ammessa dal settembre 1943, derivi dalla politica di Vittorio Emanuele III, perché è al sovrano che spetta la politica estera, secondo lo Statuto. Se il Regno d’Italia fosse rimasto “non belligerante” oltre la caduta della Francia (giugno 1940), rimpiazzando il suo primo ministro, Benito Mussolini, l’invasione tedesca del territorio nazionale sarebbe stata questione di settimane.
Al centro dell’Europa meridionale e del Mediterraneo, non chiuso tra le Alpi come la Svizzera, non periferico come il Portogallo, il Regno d’Italia può permettersi solo neutralità brevi, salvo subire la vendetta del vincitore, chiunque esso sia. Se nell’estate 1914 si guarda bene dall’essere “peso determinante” a vantaggio della Germania contro la Francia, è perché Roma sa che ogni egemonia sull’Europa non sarà un’egemonia italiana. Quindi agisce costantemente per allungare le ostilità altrui, salvo entrare nel loro conflitto quando i rivali – tali sono gli alleati – sono logori e disponibili a una pace di compromesso.
Il gioco riesce dopo l’intervento nel 1915, portando alla “vittoria mutilata” del 1918; non riesce dopo l’intervento nel 1940, portando alla brutta resa, ma anche alla miglior pace che l’Italia unita abbia avuto, quella fino al 1967, quando la “Guerra dei sei giorni” sposta, a svantaggio dell’Italia, gli equilibri tra i vassalli degli Stati Uniti nel Mediterraneo centrale e orientale.
Se questo è lo ieri o l’altro ieri, l’oggi italiano nell’Unione Europea è un interminabile “agosto 1943”. Senza reale sovranità, soffriamo l’egemonia tedesco-francese (non franco-tedesca, si badi). Certo, nel 1992 l’Italia è sopravvissuta alla minaccia secessionista, che ha liquidato – primo compenso della Germania, vera vincitrice della Guerra fredda – la Cecoslovacchia e la Jugoslavia, cioè “l’anello di Versailles”, ideato nel 1919 dai francesi per arginare il revanscismo tedesco. Ma in meno di un decennio l’Italia subisce il disastroso rapporto di cambio tra lira ed euro. Il resto è cronaca.
La passività economico-strategica, che l’Italia è stata tra 1915 e 1918 per la Triplice Intesa, dal 1936 ha indotto gli alleati di allora a rispedirci nel campo delle Germania, per penalizzarla. Non si sono sbagliati. E oggi – complice l’eclissi della strapotenza americana su Europa e Mediterraneo – nessuno offre una seria sponda all’Italia. Per una diplomazia come la nostra, che tanto teme l’isolamento, la Brexit offre una stampella contro l’invadenza, se non l’invasione, dell’Ue di nazione germanica e religione protestante? Il Regno d’Italia ha resistito ottantacinque anni, anche perché la Gran Bretagna gliel’ha permesso. Teniamone conto: la Repubblica Italiana ha già settant’anni e non si sente troppo bene.