Caratterizzato da spirito patriottico ed improntato a tradizioni genuinamente paesane Strapaese è stato uno dei più vitali movimenti letterari e culturali sviluppatisi in Italia durante l’epopea fascista. Presente in Valdarno già nei primi anni venti, nacque come corrente fiancheggiatrice del fascismo populista e popolare scagliandosi contro ogni forma di cosmopolitismo ed esterofilia.
Acerrimo rivale gli fu – per ovvie ragioni – il movimento Stracittà, diverso per impostazione ideologica e pratica. Animatori di Strapaese furono, fra gli altri, Leo Longanesi, Curzio Malaparte (ex stracittadino), Mino Maccari, Vincenzo Cardarelli, Ardengo Soffici. Le riviste più rappresentative furono L’Italiano, Il Selvaggio, L’Assalto, le prime due dirette rispettivamente da Longanesi e Maccari, l’altra dal giornalista dannunziano Nanni Leone Castelli, fiancheggiatore del Fascio bolognese di Arpinati, cui facevano da contraltare quelle stracittadine L’Interplanetario di Libero De Libero e Luigi Diemoz e 900 di Massimo Bontempelli.
Le origini di Strapaese possono farsi risalire al manifesto nazionalista di Giovanni Papini del 1904, mentre posizioni strapaesane sono già ravvisabili in alcuni scrittori de La Voce, quali lo stesso Papini e il poliedrico Ardengo Soffici; ma il movimento assunse il suo nome e tratti più marcati solo nel primo dopoguerra. Gli strapaesani promuovevano una civiltà cattolica – ma non bigotta -, rurale, tradizionalista, e anti-urbana, pretendendo, altresì, una cultura «italianissima» e «fascistissima», secondo i canoni strapaesani di ‘fascismo’. Ecco a proposito quanto dichiarato nella Prefazione alla rivista L’Italiano da Leo Longanesi:
«I popoli nordici hanno la nebbia, che va di pari passo con la democrazia, con gli occhiali, col protestantesimo, col futurismo, con l’utopia, col suffragio universale, con la birra, con Boekling, con la caserma prussiana, col cattivo gusto, coi cinque pasti e la tisi Marxista. L’Italia ha il sole, e col sole, non si può concepire che la Chiesa, il classicismo, Dante, l’entusiasmo, l’armonia, la salute filosofica, il fascismo, l’antidemocrazia, Mussolini».
Non diversamente avrà ad esprimersi il proteiforme Mino Maccari, scrittore, pittore, incisore, giornalista, vera e propria anima di “Strapaese”, noto coi nomi di battaglia di ‘Orco Bisorco’, e il ‘nano di Strapaese’: «Strapaese è l’affermazione essenziale e indispensabile delle tradizioni e di costumi caratteristicamente italiani: la selezione di quelle tradizioni e di quei costumi, la difesa di quegli elementi di italianità che sono la radice della nostra civiltà e della nostra potenza.»
La linea di Strapaese era quella della tradizione antintellettualistica e rurale, spesso scanzonata, alle volte “becera”, tipicamente italiana, cui facevano seguito un antiborghesismo e soprattutto un antiamericanismo intransigenti, in quanto proprio nella società americana potevano rintracciarsi più che altrove, secondo gli strapaesani, una profonda corruzione dei costumi, un bieco materialismo, una mercificazione dell’arte, nonché un certo disprezzo della tradizione. «L’americanismo è la peste che avanza volgarizzando, rimbecillendo, imbestialendo il mondo, avvilendo e distruggendo alte, luminose, gloriose civiltà millenarie», affermava Ardengo Soffici. Ma Strapaese, non si macchiò di proibizionismo, anzi dimostrò di non disdegnare affatto la cultura straniera, neppure quella americana. Ne è un esempio Longanesi che su L’Italiano pubblica brani di Kafka, Hemingway, Gide, Joseph Roth, prima di allora pressoché sconosciuti in Italia.
Pur essendone distante per presupposti ideologici, Strapaese sostenne strenuamente la stessa logica dell’“arte-azione” dei futuristi, facendo dell’arte uno strumento per agire sulla società, tentando di orientare l’azione politica del Regime e riportarlo alle sue origini rivoluzionarie, criticando le direttive ufficiali del fascismo e la sua svolta dittatoriale. Di Longanesi, ad esempio, si è detto che fu “fascista ma antifascista”, come fu “borghese ma antiborghese” e che – com’ebbe a dire Montanelli – il suo fascismo fu più fenomeno ottico che politico. Sostenitore di un’italianità profonda, – Longanesi volle addirittura utilizzare il font Bodoni per le pubblicazioni de L’Italiano, in onore dello stampatore italiano del XVIII secolo, Giambattista Bodoni – Strapaese si oppose anche alle demolizioni degli antichi borghi medievali nei centri urbani e all’architettura razionalista, che minacciava di sconvolgere il genius loci di paesi e città, ma prese posizioni favorevoli all’autarchia (non poteva essere altrimenti!).
Cosa fu Strapaese? Sicuramente una enclave fantastica dell’immaginario novecentesco, ma sicuramente ben radicata alla realtà, anche se ad una realtà che stava per essere spazzata via dallo tsunami della modernità. Una realtà tipicamente italiana, che va da padre Dante a Boccaccio, da Cecco Angiolieri al Pulci, dall’Aretino al Cellini al Baffo e giunge a percorrere quasi per intero il “secolo breve”. Strapaese fu Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, fu il gusto della battuta spiritosa, per il frizzo ed il lazzo picaresco. Fu lo spirito guascone a prevalere a Strapaese, la posizione di fronda di chi pur non contestando il potere vigente lo critica bonariamente: è la stessa tradizione che va, secondo un aureo fil rouge dal risum movere di Plauto, al Bagaglino di Pingitore e Pippo Franco, passando per Il Giardino dei Supplizi di Cirri e Lionello. Strapaese fu anche il Marchese del Grillo, le “zingarate” del conte Mascetti e dei suoi sodali in Amici miei di Germi. Fu l’Italia santa e puttana, cortigiana e aristocratica, l’Italia delle masserie e dei campanili, delle sagre di paese con gli alberi di cuccagna, l’Italia della moglie in vacanza e dell’amante in città, l’Italia dei burberi benefici, dei passi dell’oca e dei golpe tragicomici, dell’eroismo fanfaronesco e dannunziano di un de Boccard, l’Italia schietta, virile e ridanciana, paternalistica e scollacciata, l’italia che italianizzava i nomi dei filosofi e che diceva Canadà e Nuova York.
Oggigiorno – purtroppo – il termine ‘strapaese’, che tanta popolarità riscosse all’epoca, è divenuto parte del linguaggio comune, passando a indicare un atteggiamento di esagerato campanilismo, se non di xenofobia – stando agli ultimi dettami del politically correct, ma siamo sicuri che in questi tempi di globalizzazione selvaggia sia altamente consigliabile un ritorno a “Strapaese”, se non altro quale luogo dell’anima.