Genio straordinario e versatile, drammaturgo e poeta, divulgatore scientifico, temibile quanto arguto polemista e acuto storiografo, Voltaire fu l’incarnazione dello spirito filosofico del XVIII secolo, tant’è che Victor Hugo si spinse a dire: «Il Settecento è Voltaire».
Patriarca del partito filosofico francese ed europeo, è ricordato (a torto o a ragione) come uno dei padri nobili della Rivoluzione francese; è così sia per i progressisti, che vedono in lui un precursore del giacobinismo e dei successivi movimenti rivoluzionari che dal 1789 giungono, secondo un ideale fil rouge, sino ad oggi, che per i conservatori, i quali valutano il filosofo francese facendo fede sulla vulgata clericale che lo vorrebbe un libertino senza Dio ed un fanatico egualitarista. Si racconta che in punto di morte al sacerdote che lo invitava a confessarsi, rinunciando al male abbia risposto: «Non è tempo di farsi nuovi nemici»: ciò gli valse la sempiterna simpatia delle sinistre e dei mangiapreti d’ogni tempo e latitudine: Palmiro Togliatti, ad esempio, ebbe a tradurre il suo Trattato sulla tolleranza.
Voltaire fu in realtà personalità alquanto contraddittoria, ciò spinse uno dei suoi più grandi biografi, Émile Faguet, a definirlo un “caos di idee chiare”. Per principio egli rifiutava tutto quanto apparisse irrazionale ed esortava gli uomini del suo tempo a lottare contro l’intolleranza, la tirannia e la superstizione, celebre è il suo motto “Écrasez l’Infâme” diretto contro l’ormai sclerotizzata Chiesa Cattolica, ma certa critica lo vuole antisemita e razzista. Nella voce “Juifs” del suo Dizionario filosofico si può leggere: «Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia alla più detestabile superstizione e al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono». Molte di queste critiche volterriane contro l’ebraismo saranno pubblicate in un corposo volume nella Parigi occupata dalle truppe del Reich, nel 1942.
La concezione dell’esistenza di Voltaire è in generale pessimistica. Nel romanzo Candido o dell’ottimismo il filosofo parigino narra le incredibili peripezie e disgrazie che mettono a dura prova l’ottimismo del protagonista Candido, il quale trova sempre modo di concludere col suo maestro, il dottor Pangloss (maestro di “metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia”), che «tutto va per il meglio nel migliore dei modi possibili». Voltaire è convinto, invece, che il male del mondo è una realtà, al pari del bene, e che sia una realtà impossibile a spiegarsi coi lumi della ragione umana. Ma d’altro canto, è anche convinto che l’uomo debba prendere atto della sua condizione nel mondo, e accettare stoicamente la realtà.
La concezione politica e religiosa
In ambito politico, Voltaire difese il diritto di ogni cittadino alla libertà civile e politica, ma non credeva che la Francia, e in generale nessuna nazione d’Europa, fosse pronta per una vera democrazia. Voltaire non credeva nel popolo, e sosteneva che: «Quando il popolaccio si mette a ragionare, è perduto». Egli, com’ebbe a scrivere Montanelli nel suo L’Italia del Settecento: «Ai Re di Francia preferiva la repubblica, ma alla repubblica preferiva un Re come Marco Aurelio. Il suo sogno restava un monarca assoluto e illuminato che realizzasse le riforme proposte da un buon ministro». Nel suo Dizionario filosofico, avrà parole d’elogio per l’imperatore Giuliano, che definirà “padrino dei filosofi”, e per l’imperatore Federico II di Svevia, che difenderà dalle accuse di ateismo mossegli dalla Chiesa.
Per quel che attiene la sua concezione religiosa, Voltaire lungi dall’essere ateo, come certa letteratura ecclesiastica ha insistentemente voluto far credere, prediligeva invece una forma di deismo. A Ferney dove si ritirò in esilio volontario si costruì una cappella dedicata a Dio, ma questo Dio non coincideva con nessuno delle religioni costituite, sebbene egli avesse dedicato alcuni mirabili scritti al Cristo del Sermone della Montagna, e fosse un grande estimatore del famoso libretto di esercizi spirituali L’imitazione di Cristo. «Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo», asseriva, in netto contrasto con il motto dissacrante che circa un secolo dopo avrà a proferire l’anarchico Bakunin, ovvero che «Se un Dio esistesse bisognerebbe abolirlo». Parallelamente alla sua lotta contro il fanatismo, il grande di Ferney ne condurrà infatti una altrettanto acrimoniosa contro l’ateismo e il materialismo. Egli sosterrà che «l’ateismo non si oppone ai delitti ma il fanatismo spinge a commetterli», ma anche che «essendo l’ateismo quasi sempre fatale alle virtù, in una società è più utile avere una religione, anche se imperfetta, piuttosto che non averne nessuna».
Il giudizio di contemporanei e posteri
Di Voltaire è noto il giudizio espresso dal suo contemporaneo Joseph De Maistre, che «sospeso tra l’ammirazione e l’orrore» voleva fargli erigere una statua…sì, ma dalle mani del boia! Mentre ultimamente nel suo pamphlet, Cabaret Voltaire, Pietrangelo Buttafuoco, ha individuato proprio nelle idee e nell’operato di Voltaire i prodromi della secolarizzazione e dell’antireligiosità dell’Occidente, asserendo che quella fra l’Occidente secolarizzato e l’Islam religioso è una battaglia che non fa altro che riproporre l’antico scontro condotto da Voltaire contro la fede. A prova di ciò, secondo Buttafuoco, basterebbe leggere l’opera teatrale volterriana Maometto ossia il fanatismo, nella quale il pensatore francese non farebbe altro che ricondurre alla paura e alla superstizione le forme dell’emozione religiosa per smontare ogni teologia.
Si è spesso detto anche che il pensiero filosofico di Voltaire abbia molto demolito e che sia imbevuto dei pregiudizi tipici dell’Età dei Lumi, questo è indubbio, ma tra Voltaire e Marx (o i suoi epigoni) d’acqua sotto i ponti ne scorre a iosa. E, se sicuramente il filosofo transalpino non sarà mai annoverato in un pantheon di pensatori reazionari, senz’altro è un autore da rileggere senza pregiudizi e da sottrarre alle congreghe e conventicole atee e laiciste (es. quelli di Micromega di Flores d’Arcais), che hanno fatto di lui un santo laico, appropriandosi indebitamente della memoria di un uomo che d’ogni sorta di santocchieria fu strenuo e mordace nemico. Il resto è una coïonnerie, come avrebbe detto l’arguto filosofo transalpino.