Presi dal turbinio delle futilità, qualcuno (forse) li aveva dimenticati. Seppelliti sotto il ghiaccio della steppa e del tempo ormai trascorso, sono più di 50mila gli italiani che non fecero mai ritorno – nemmeno da morti – dall’avventura di Russia. E forse oggi, a distanza di settant’anni dal macello di sangue che fu la seconda guerra mondiale, qualcuno di loro potrà finalmente riposare in Patria.
È di pochissimi giorni fa la notizia secondo cui a Kirov, località a ottocento chilometri da Mosca, il silenzio e la desolazione della morte scordata abbiano restituito alla storia quasi 15mila corpi di soldati, seppelliti alla meno peggio in una fossa comune scavata per inumare i resti di chi non resse la prigionia di guerra nei campi sovietici.
Seppur distante, e moltissimi chilometri, dallo scenario del Don che impegnò il corpo di spedizione dall’Armir, è grande la speranza di ritrovare tra quei caduti dimenticati delle piastrine che parlino italiano. I documenti e le indicazioni degli studiosi in tal senso sono abbastanza sicure di ciò. E, pare, che già qualche corpo sia stato identificato. Come quello di cui parla Fausto Biloslavo su Il Giornale, i resti del 21enne Giulio Lazzarotti, partito da Parma per incrociare la morte e l’oblio in un terra tanto lontana.
La scoperta di una squadra di studiosi russi può restituire alla Patria i suoi caduti dimenticati, cancellati in fretta da troppe e parziali ricostruzioni, letture, iatture ideologiche e post-ideologiche. Ma non è tempo di polemiche, questo. Ma di umana, umanissima pietas.