Da un porto all’altro il mare rimane lo stesso, invece, noi, tendiamo a sentirci diversi, cancelliamo quello che l’acqua unisce, dimentichiamo quello che porta, e finiamo per perderlo senza neppure averlo visto. Quello che sappiamo oggi del Mediterraneo è che si tratta di un aggettivo, e non di un mare o di un destino: la politica lo vorrebbe certo ma più che porta siamo portaerei o tema da convegno, quando invece bisognerebbe ascoltarlo il Mediterraneo e non parlarci su, girarne le spiagge e i porti, o anche solo guardarlo da Algeri come faceva Albert Camus, per strutturarlo in una vita. E, se, come insegnavano i greci, arriva fin dove cresce l’ulivo, allora ecco la nostra mappa d’interesse: dal Marocco alla Palestina. Per quello che non è mai solo un mare, mai solo geografia o storia ma soprattutto stupore per come regge tante contraddizioni, fino a farsi mare di carne. Perché sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa che ne è solo una parte, senza quel mare non ci sono banche tedesche che tengano, e a quel mare appartiene anche l’Africa e la sua appartenenza la sta chiedendo con i morti come una guerra, anzi una guerra. E prima l’ha fatto Tirana, in un modo diverso lo fa Gerusalemme, attraverso l’Est e i capitali lo sta facendo Istanbul. Il Mediterraneo è Europa, Magreb, Levante, è cristianesimo, islam ed ebraismo, tre religioni che hanno un patriarca comune Abramo (padre di molti) e nelle scritture la verità (Bibbia, Corano, Talmud) e dalla scrittura deve venire anche il futuro perché è stata la scrittura a trasformare il Mediterraneo in storia. Se non ci fossero in giro già troppi fanatici della patria e separatismi come lotterie diremmo che si tratta della nostra bandiera per come allaccia culture e civiltà diverse, e siccome non vogliamo sfruttarlo, come è stato già fatto, diremo che è il nostro Orizzonte, quindi non acquistabile né vendibile, niente di cui appropriarsi, solo un filo da raggiungere, il posto dove guardare. Un tempo i fari, come i monasteri, stavano ai margini dei deserti, lo ricorda Predrag Matvejević nel suo “Breviario Mediterraneo” – e Napoli deve farsi faro e monastero – perché: “La mediterraneità non si eredita, ma si consegue. È una decisione, non un vantaggio. Dicono che di veri mediterranei ce ne siano sempre meno. Non c’entrano solo la storia o la tradizione, il passato o la geografia, la memoria o la fede: il Mediterraneo è anche destino”. Allora il dialogo non è fatto solo di parole, rivolte a qualcuno che conosciamo già, perché la distanza è una convenzione che il mare tradisce: è uno strattone alla corda che ci lega, è meno poesia e più ricerca, è meno cronache e più storie, è navigazione lenta, perché mai superficiale, mai consueta. È un discorso sul Mediterraneo, con il Mediterraneo, per il Mediterraneo, il nostro. Gireremo per poi tornare a casa, proprio come Ulisse, e al ritorno vedremo tutto con occhi differenti.
a Predrag Matvejević