Pubblichiamo la lettera di una giovane dirigente di Forza Italia sul futuro dell’alleanza, dopo le convention di Everest e Fiuggi
Ricostruttori. È questa la parola, il concetto, l’invito che intendo estendere alla comunità di “Everest”. Non siamo rottamatori – ci mancherebbe -, non siamo emulatori, non siamo nemmeno riformatori solo per il gusto di riformare. No, in questa fase così delicata e importante siamo prima di tutto i ricostruttori di quella gamba infortunata della quale il Paese ha assoluto bisogno per non cadere nel pantano dei 5 Stelle: il centrodestra, di cui Forza Italia ha sempre rappresentato l’elemento vitale, dirompente, maggioritario.
Dopo l’attacco, anzi chiamiamolo con il proprio nome: dopo il “golpe” che ha visto come vittima il governo Berlusconi nel 2011, ma ben presto tutto il Paese, il centrodestra – la coalizione che ha permesso di sbarrare la strada alla sinistra più anti-nazionale d’Europa – è entrato in una lunga fase di stagnazione, di crisi di identità che ha disorientato parte del nostro popolo, del nostro elettorato che si è rifugiato nell’astensione quando non nel voto ai nostri avversari, o ha in parte abbandonato la militanza e l’appoggio diretto al nostro progetto.
La domanda, a questo punto, la prendo in prestito da Lenin: “Che fare?”. Credo che il che cosa fare ce lo stiano insegnando in queste ore i nostri fratelli di Amatrice, e di tutte le città coinvolte dal terribile terremoto. Loro sì che vogliono ricostruire, ristabilire, ritemprare la loro terra, le loro case, la loro vita esattamente dove la terribile forza della natura ha distrutto e annientato tante vite ma non la speranza. E a guidare questo popolo ci sta un sindaco, Sergio Pirozzi – per il quale chiederei un applauso a tutti voi –, che rappresenta plasticamente una certa idea di politico a servizio di una comunità. Un’idea vicina al nostro comune sentire, che ci rende orgogliosi della nostra classe dirigente, perché Pirozzi è un uomo di destra. E da uomo di destra si dimostra di non essere “solo al comando” – come un tale venuto da Firenze – ma di essere il primo cittadino a servizio di una comunità ferita ma fiera.
Come gli abitanti di Amatrice lottano per ricostruire esattamente dove e come hanno vissuto, così noi dobbiamo lottare adesso per ricostruire dalle fondamenta la nostra casa politica, il partito e la coalizione che vogliamo. Dobbiamo farlo avendo chiaro in mente di doverlo fare con un vero metodo antismico, che in politica significa selezione rigorosa dei “materiali”, ossia della classe dirigente, del “metodo di costruzione”, ossia delle regole con cui scegliere i nostri rappresentanti, e del “profilo” che vogliamo dare alla nostra costruzione, quindi i temi e il messaggio che vogliamo rappresentare.
Ma perché, molti si chiedono, è necessario ricostruire il centrodestra? Proprio per permettere a chi intende rimanere e vivere nelle tante Amatrice d’Italia di non dover abbandonare – per disperazione – il proprio Paese. Proprio per permettere alle imprese di ricostruire quel sistema sociale che ha permesso lo sviluppo dell’italianità come valore di mercato. Proprio per permettere al ceto medio di potere esistere ed essere ancora quel ceto dinamico che rende possibile l’ascensore sociale, oggi terribilmente bloccato.
Insomma, davanti all’implosione repentina e disastrosa del renzismo – attorcigliatosi negli annunci e nella impalpabile ripresa; a proposito, chi parla di nuovi governi tecnici dopo il referendum non ha capito la lezione della storia recente e del voltafaccia servito da Renzi al Cavaliere – attorcigliatosi, dicevamo, e alle prime crepe importanti della narrazione grillina, dobbiamo farci trovare pronti. Per questo motivo è necessaria un’operazione di “emergenza”, un vero e proprio scouting di persone e idee, dentro Forza Italia prima e dentro il centrodestra tutto dopo.
Lo dico – senza giri di parole – a Stefano Parisi. Il partito, la gente di Forza Italia, sta qui. Centinaia e centinaia di giovani impegnati, di amministratori, di consiglieri, di volontari che rappresentano ogni giorno la dimostrazione che quella intuizione – targata Silvio Berlusconi, anno di grazia 1994 – si è innestata in gambe giovani, preparate e temprate dalla battaglia politica quotidiana. Ecco perché – guardando con interesse al laboratorio che Parisi sta attivando a Milano – a lui dico di guardare con la stessa attenzione la “vena viva” di questo movimento e i suoi risultati più importanti. Mi viene da pensare al “miracolo Liguria”, con Giovanni Toti che sta dimostrando quanto la società civile che sposa pienamente un progetto politico possa contribuire a portare la nostra visione al governo, vero e senza compromessi, dei territori. Anche quelli ostici storicamente per il centrodestra come la Liguria.
Da parte nostra dobbiamo tendere a e dobbiamo chiedere un partito scalabile, elastico, meritocratico. Un partito che deve diventare di nuovo quel “sindacato delle imprese e del territorio” di cui la parte produttiva del Paese è orfana. È quello che abbiamo fatto a Pavullo, strappando alla sinistra città e “modelli” che in realtà rappresentavano nient’altro che clientele e malagestione e che sembravano eterni. E invece no, quando il centrodestra presenta candidati, progetti e porta con sé anni di politica alle spalle non ce n’è per nessuno: basta esserci, non improvvisarsi.
Certo, la scalata verso Everest – verso il governo del Paese – sarà lunga, lo sappiamo tutti. Ma con questa compagnia, con queste idee, con questi esempi ma soprattutto con la volontà di servire questo Paese che amiamo più di ogni altra cosa tutto ciò sarà una fatica da compiere col sorriso stampato sul volto. Per questo dico a tutti voi mettiamoci adesso in cammino: c’è da ricostruire in fretta il centrodestra. Lo dobbiamo all’Italia.