“Macchina minata, macchina minata” urlano i combattenti libici, che sferrano l’ultimo assalto alle bandiere nere a Sirte. Il kamikaze al volante del veicolo trasformato in ariete esplosivo avanza a zig zag su uno stradone a due corsie verso un condominio trasformato in trincea, che segna la prima linea. I colpi di armi leggere rimbalzano sulla corazza artigianale. Non è facile fermarlo con un lanciarazzi Rpg. Il caos è totale. Tutti urlano e sparano. Un carro armato in fondo alla strada cerca di incenerirlo. Alla fine lo spostamento d’aria di una possente esplosione ci fa sentire il tocco della morte dei terroristi suicidi. La macchina minata è stata centrata saltando in aria a venti metri dalla nostra postazione. I resti carbonizzati bruciano in mezzo alla strada.
L’offensiva finale per liberare i due quartieri ancora in mano ai seguaci del Califfo è iniziata ieri mattina. Dalla zona residenziale di Anaga di fronte al distretto 3, dove sono asserragliati gli ultimi manipoli jihadisti, si scatena l’inferno. Le katibe (reparti) di Misurata legate al nuovo governo di Tripoli avanzano dal fronte sud per chiudere la morsa. Dal palazzo dove ci troviamo ogni stanza è trasformata in postazione. Si spara dai pochi centimetri rimasti aperti con una tapparella abbassata o dalle finestre oscurate da coperte e tende per non finire nel mirino dei cecchini. Il crepitare dei mitragliatori è incessante alternato alle esplosioni. Le bandiere nere lanciano nello scontro finale 13 macchine minate alla guida di kamikaze, 5 fermate dal cielo dagli americani.
“Anche se rimangono in pochi non si arrendono – racconta Mustafa Shebani, giovane comandante della terza brigata – Ad Ouagadougou (un caposaldo dell’Isis conquistato nda) i miliziani di Daesh (Stato islamico nda) erano in cinque e da dietro un muro li abbiamo intimato di gettare le armi. Ci hanno risposto che avrebbero combattuto fino alla morte. E che noi non siamo veri musulmani, ma cani al servizio degli americani”.
I combattenti sono allineati al riparo dei condomini di Sirte ridotti a delle larve di cemento dalle cannonate. Tutti, compresi i giornalisti devono appiccicarsi addosso degli adesivi rossi per evitare di venire scambiati per miliziani dello Stato islamico. Qualcuno porta l’elmetto, altri il giubbotto antiproiettile, ma i sandali e nessuno indossa una divisa uguale all’altro. Non mancano i portafortuna, come un orsacchiotto di peluche. Nonostante l’aspetto di armata Brancaleone ed il modo caotico di combattere, le truppe libiche sono ad un passo dalla liberazione di Sirte.
Ci spostiamo pericolosamente con il fuoristrada della nostra guida in un dedalo di viuzze e arterie più grandi dove i container in mezzo alla strada segnano la terra di nessuno. Nel quartiere 1 i combattenti avanzano, ma nel 3, il più grande, la resistenza è accanita. Alla fine della giornata con 35 morti e 180 feriti le katibe (reparti) riescono a penetrarlo di un solo chilometro. “Sanno che sono finiti e hanno le spalle al muro. Per questo resistono ad oltranza più delle scorse battaglie. Non hanno niente da perdere. Moriranno tutti” sentenzia Abdullah Rauf, che a 25 anni è già un veterano. Sul fronte est la morsa è chiusa dalla brigata 166, la più temuta e organizzata fra le katibe di Misurata.
Ad ovest i combattenti della prima linea di Anaga si lamentano che non arriva il rancio, ma continuano a sparare a raffica correndo come pazzi a fianco di un cumulo di sabbia, che dovrebbe proteggerli. Per attirare i cecchini hanno piazzato un elmetto su un bastone e chi vuole tira sventagliate con kalashnikov o mitragliatrici leggere verso le postazioni delle bandiere nere.
Sulla strada principale un carro armato lancia una cannonata ogni cinque minuti. La battaglia per liberare Sirte non è ancora finita. (da Il Giornale)