La ristampa de “Il sorriso di Niccolò. Storia di Machiavelli” di Maurizio Viroli rappresenta qualcosa di più di una riproposta editoriale. È una lettura seducente, utile alla scoperta del senso della storia. Il saggio di Viroli è un classico. Cioè “è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” per citare italo Calvino, per riscoprire una sensibilità narrativa unica. Una sensibilità che ci fa guardare dentro le vicende dell’intellettuale fiorentino sconfitto, però mai completamente vinto.
Ecco il racconto di Machiavelli che incontrava i potenti del suo tempo, i principi spietati e i papi guerrieri; ecco il politico responsabile dell’arruolamento dei fiorentini; e poi il condannato dalla restaurazione medicea. Di questa personalità affascinante Viroli scrive. Di un patriota del sedicesimo secolo che dedicava alla sua patria otto libri, “Le historie fiorentine”, anche per riconciliarsi con il potere. Emerge la personalità del fiorentino che amava la propria terra, il successo, il rischio; per questo preparava “l’esercizio della guerra” inteso come il duro mestiere geniale dopo Sun Tzu e prima di von Clausewitz. Generazioni di soldati tramandarono le parole di Machiavelli. I generali orgogliosi affrontarono le sconfitte citando queste parole, “uno esercito cammina e combatte ordinatamente, il capitano ne riporta l’onere suo, ancora che la giornata avesse non buono fine.” (da “Dell’arte della guerra”)
Nel bel capitolo “Il sapore della storia” compare il fascino del “vecchio segretario che parlava ai giovani dell’arte dello Stato e della tecnica militare dei Romani. Molti di essi diventeranno antimedicei e repubblicani. Per lui quelle conversazioni sono un ritorno alla vita.” Così ritornano le vicende di un servitore dello Stato, un organizzatore delle comunità, un “esperto di trattative” senza essere “né un ragioniere né un avvocato.” È reale questo Nicolò ricostruito da Viroli. E l’incipit del capitolo – “Chi ha l’animo grande, riesce con l’immaginazione a fare rivivere eventi, uomini, e parole del passato, e trova nella storia conforto, soprattutto quando l’ambizione e la mediocrità dominano incontrastati il presente,..” – andrebbe letto nelle scuole, nelle classi.
Questa edizione Laterza consente di attualizzare il pensiero machiavelliano. Oggi i politici, i manager, gli intellettuali potrebbero analizzare “Il Principe” non come si legge un quaderno nero, il libro di un ideologo dei dittatori. Bensì avrebbero l’occasione per mettere alle spalle i luoghi comuni sull’ essere machiavellico e scoprire, un’altra volta, il teorico della verità costruita sui fatti, il fustigatore delle improvvisazioni. Pertanto. Farebbe bene questo testo, pubblicato nella prima volta nel 1998, a qualche politico di professione; così per iniettargli un po’ di concretezza machiavelliana. Quella concretezza riconosciuta, già tanti decenni fa, da Gramsci che scriveva sulla forza di Machiavelli ossia “sullo stile d’uomo d’azione, di chi vuole spingere all’azione…”
Con l’ammirazione per il libro di Viroli, ora, ritorna anche il giudizio di Giuseppe Prezzolini. Il quale, commentando Machiavelli, ricordava che gli uomini sono tutti uguali “per via della cupidigia umana e della sua natura insofferente al male e stuccata nel bene, invidiosa del potere degli altri.” In questo senso, gli uomini della politica non dovrebbero perdersi nell’individualismo, nelle invidie elettorali che disuniscono gli italiani. A quegli uomini, che non hanno mai letto il Machiavelli, si consiglia di leggere la lettera al Vettori del 1527. In questa, Niccolò scriveva di raccogliere le ultime forze contro gli invasori, di continuare a resistere, giacché “Io amo… la patria mia più dell’anima”.