“C’era scritto corazzata Indianapolis” risponde Quint (Robert Shaw) a Matt Hooper (Richard Dreyfuss) in una delle scene forse più famose de Lo Squalo e cioè quella del racconto del naufragio di una nave americana sul finire della Seconda Guerra Mondiale e del suo equipaggio, per giorni in balia di ipotermia e di attacchi di squalo.
Un’ Indianapolis è esistita davvero: non corazzata, ma incrociatore pesante, né colata a picco nel giugno 1945, come ricorda Quint, bensì il 29 del mese successivo. Alla più grande tragedia della storia della US Navy, il regista Mario Van Peebles (Gunny, Lo Squalo 4) dedica una pellicola, USS Indianapolis-Men of courage.
Il film Annunciato nel 2015, Uss Indianapolis esce nelle sale americane il 30 maggio 2016. E’ una pellicola importante perché porta sul grande schermo un dramma navale a lungo taciuto e solo molto di recente raccontato da documentari e da un saggio, edito in Italia per Longanesi, Il comandante e gli squali di Doug Stanton.
Un caso giudiziario Inseguito all’affondamento per opera del sommergibile giapponese I 58, l’Indianapolis affondò con 300 uomini di equipaggio, su un totale di 1196. I sopravvissuti all’esplosione rimasero per cinque giorni nel bel mezzo del Pacifico poiché la nave, incaricata di trasportare a Leyte i componenti della bomba atomica Little Boy, viaggiava senza scorta e senza aver comunicato la propria rotta ai comandi. Nel dopoguerra la giustizia militare puntò il dito contro il comandante capitano Charles Butler McVay quale unico responsabile della perdita della nave. In realtà, la stessa Marina americana aveva gravi colpe per la pianificazione della rotta e per il conseguente siluramento dell’incrociatore. Mc Vay fu, dunque, caprio espiatorio; si suicidò sul finire dei Sessanta.
Al cinema il comandante Mc Vay ha il volto di Nicolas Cage. La pellicola di Mario Van Peebles ripercorre tutta la vita operativa dell’unità, dalla delicata missione di trasporto dell’ordigno, al processo nel dopoguerra.
USS Indianapolis è una storia di mare affascinante, spaventosa ma, soprattutto, vera. UGli elementi per tenere col fiato sospeso ci sono tutti: il siluro che squarcia la fiancata, il terrore dell’equipaggio che abbandona la nave, l’attesa, lunga, tra i flutti assetati e circondati da squali. E, poi, l’arrivo dei soccorsi mentre intorno le pinne increspano la superficie dell’acqua.
D’altronde, è lo stesso Quint a ricordarlo: “Il momento in cui ebbi più paura fu quando stavano per venirmi a prendere, perché aspettavo il mio turno”.
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