Si resta incantati a veder dirigere il maestro Elio Boncompagni. E ancor di più a sentirlo guidare l’orchestra nei meandri di Beethoven, di Schubert. Non domina, non sovrasta, non comanda: studia, lavora, ama, dispone. È artefice nella semplicità maestosa che vien solo da un lungo e appassionato lavoro.
Dicono che Boncompagni abbia ottantatré anni. Io, personalmente, non ci credo. In barba alla carta d’identità, il Maestro che è figlio di quella Firenze ch’è faro vero di cultura (e non sue noiose contraffazioni, ma questa è un’altra storia), dirige come se avesse (almeno) vent’anni in meno. Essì che questa contabilità anagrafica è ossessione dei tempi barbari in cui siamo immersi, Boncompagni non può avere età perché (come vedremo) se la musica è assoluto, a differenza della smemorata Eos, non nega l’eterna giovinezza ai suoi amatissimi Titoni.
Ho avuto la fortuna di poter ascoltare e vedere alcune registrazioni dal vivo di lavori del Maestro. Ha totalmente stravolto l’idea che io, profano assoluto, m’ero fatto di musica. Ci sono livelli e livelli di consapevolezza – per dirlo non c’è bisogno per forza d’essere un adepto di boriosità bollite New Age – e l’opera del maestro Boncompagni staziona, stabile, a quelli più alti.
Prendete, per esempio, la nona sinfonia in do maggiore, meglio conosciuta come la Grande, di Franz Schubert. È lavoro di una complessità tecnica e musicale estrema, che già fece strabuzzare gli occhi ai musicisti austriaci dell’Ottocento. È una ricchissima poesia in musica che ha il portato sublime di mille e mille tentazioni, seduzioni, riferimenti. La sinfonia ha in sè l’afflato di ogni riverbero della grandezza e, per esser tale, deve percorrere le strade più impervie che la tecnica musicale mette a disposizione.
Lo scorso giugno, il maestro Elio Boncompagni ha avuto l’idea ardita di dirigerla a LaVerdi di Milano. A tutti, anche ai grandissimi, affrontare questo scoglio del repertorio di Schubert mette un po’ di ansia. C’è da uscir pazzi solo per tener fede a tutto quanto il compositore volle inserire nella sua nona sinfonia. E c’è da stare in perenne ansia, perciò, durante la direzione.
E invece, per il Maestro dirigere la Grande sembra la cosa più facile del mondo. Così come gli altri giocano a palline, con l’identica semplicità, Boncompagni percorre i sentieri più impervi dell’anima e porta l’orchestra a esplorare fino in fondo un capolavoro musicale, senza scorciatoie, senza ammiccamenti, senza facili riduzioni che ridondano di cineseria. Se dovessi spiegare cos’è il concetto di talento, citerei senza alcun dubbio l’esecuzione de LaVerdi.
Nazzareno Carusi, uno dei più grandi pianisti italiani contemporanei che non è meno grande quando decide di prendere la penna in mano, scrive del Maestro: “Meraviglia ideale, consapevolezza musicale, coerenza sonora, tenuta ritmica e aristocrazia d’animo e pensiero fanno di Boncompagni uno degli ultimi giganti in giro”. Sottoscrivere ogni singola parola utilizzata da Carusi è uno dei più piacevoli doveri.
Boncompagni è grande perché riassume in sè l’idea dell’innamorato fedele alla Musica, e non a caso la maiuscola. C’è un solidissimo lavoro filologico dietro ogni sua direzione, che traspare dalla chiarezza con cui le orchestre da lui guidate esprimono ogni singola nota. Il gesto del direttore è deciso, determinato, autorevole e mai autoritario. Non ha il piglio dello stregone nè quello del condottiero sanguinario, ha la calma serenità dell’artista che tutto dona alla sua amata, alla Musica che di copiosi doni lo ricambia. È il perfetto artefice che non antepone le urgenze, le contingenze, gli accidenti alla vera identità del repertorio che di volta in volta studia, analizza, interpreta fedelissimamente.
Forse è per questo, per il culto alla Musica e al lavoro, che a Boncompagni riesce facilissimo quello che a tutti gli altri risulta quantomeno ostico. E che la Musica lo riami te ne accorgi subito, da quel sorriso affascinato e soddisfatto – la maestà della ricompensa più grande per gli animi davvero nobili perché sanno amare – che mai lo abbandona quando è sul podio.