Qualche giorno fa rovistando in una bancarella della splendida Pescocostanzo – dove arte e natura celebrano uno sposalizio duraturo – mi è capitato di trovare un piccolo e raro opuscolo di Franco Tassi Le radici dei patriarchi (edizioni Menabò, Ortona 1992, pp. 24). Franco Tassi, ecologista a tutto tondo, autore di guide naturalistiche (scritte spesso insieme a Fulco Pratesi), è noto per essere stato il promotore del Comitato parchi nazionali e soprattutto per essere stato direttore del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise per oltre trenta anni, dal 1969 al 2002.
Le radici dei patriarchi è un magnifico racconto ecologico che descrive il rapporto d’amore che l’autore fin da giovane ebbe con la natura allora incontaminata di quei luoghi, che l’avrebbero visto protagonista di memorabili battaglie in loro difesa. La sua vacanza di due settimane nelle terre del parco d’Abruzzo fu il premio da lui voluto per il diploma della maturità. L’atmosfera che descrive sembra irreale: “a quell’epoca – era, credo di ricordare, il magico luglio del 1956 – si poteva bere a piene mani in qualsiasi punto del fiume, la piana non era che un immenso prato intatto e purissimo, pochi viaggiatori curiosi sui aggiravano tra le pendici e le selve della Marsica.” Ma già allora si stava cominciando a distruggere con efficienti e forsennate motoseghe un patrimonio inestimabile in nome di un presunto progresso, di miopi interessi economici e politici: “poveri comuni montani indotti a pareggiare i propri bilanci svendendo migliaia di alberi, boscaioli alla disperata ricerca di un’occupazione qualsiasi, speculatori boschivi capaci di farsi miliardari divorando la foresta. Flora e fauna distrutte, terreno eroso e dilavato, acque impoverite ed equilibri geologici profondamente turbati.” Il senso di frustrazione accumulato dal giovane Tassi ricorda grosso modo quello provato da Rousseau e narrato nella famosa VII lettera de Le fantasticherie del passeggiatore solitario, che segna la data di nascita dell’ecologismo. Ad ogni buon conto, non lo indusse all’inerzia o alle sterili lamentazioni. Decisivo fu, a questo proposito, l’incontro con un anziano montanaro che condividendo il suo sentimento, lanciò in dialetto abruzzese un avvertimento: “tagliano piante secolari che Dio ce ne liberi… e le loro radici sono le nostre, ci legano alla terra”. Cancellare ciò che i padri e i nonni avevano lasciato in piedi, come gli alberi secolari, i patriarchi per l’appunto, significa cancellare l’identità di un popolo e di un territorio. Il racconto tuttavia si chiude con una nota di speranza. Tassi racconta un episodio accaduto, quando gli stessi boscaioli si rifiutarono, per un senso di rispetto quasi sacrale, di abbattere un enorme acero sulle pendici del monte Tranquillo nei pressi di Pescasseroli. Almeno qualche volta nella lotta tra l’uomo e la natura aveva vinto l’albero, chiosa Tassi. C’è da aggiungere che sotto la sua direzione il Parco si è ampliato, la tutela, soprattutto contro l’abusivismo, è divenuta effettiva, e i paesi del parco hanno conosciuto un’inaspettata ripresa economica per l’indotto turistico, a dimostrazione che economia (sana) ed ecologia possono andare insieme.
@barbadilloit