Il leader cubano Fidel Castro festeggia i novant’anni. La ricorrenza è commentata per Barbadillo dallo scrittore Marcello Veneziani
Il tramonto di Fidel Castro è più lungo di un crepuscolo tropicale. Da anni lo danno per declinante e moribondo, ma è arrivato a novant’anni. Sulla sua revoluciòn si è posata un’aureola di socialismo allegro, di marxismo danzante che lo rende mitico, appetibile e giovanile. Il merito di questa immagine amena e frizzante è dovuto al luogo e all’indole popolare, non certo all’ideologia e al suo lìder.
E’ difficile applicare il rigore mortuario della Siberia all’estate permanente dei Caraibi e ad un popolo che danza tra le palme ed è naturalmente portato ad una vita spensierata e leggera. Se poi si aggiunge il mito romantico del Che Guevara, morto prima di vedere gli effetti della sua utopia, i sigari de L’Avana, il mito alcolico-letterario di Hemingway e l’immagine folcloristica di Fidel, frutto imbalsamato della passione giovanile di molti sessantottini e rivoluzionari, allora ti spieghi la ragione della buona fama di Cuba. Ma questa è la rappresentazione. La realtà parla di un paese impoverito e represso, dove molti dissidenti sono in galera solo perché ritenuti “potenzialmente pericolosi”, molti sono scappati, c’è il mercato nero e il cibo razionato, è vietato perfino navigare su internet; il comunismo si fonda solo sull’apparato poliziesco. Del castrismo restano ora due lasciti grotteschi. Il primo è quello di un regime comunista che si perpetua per via dinastica e familistica, come una qualsiasi monarchia o dittatura delle Bananas, lasciando a un fratello minore che ha solo cinque anni meno di Fidel, il compito di continuare il regime. L’altro lascito è più grottesco del primo: la Cuba degli anni ‘60, mito della liberazione popolare e meta dei militanti della rivoluzione è divenuta nel tempo mito della liberazione sessuale e meta dei militanti dell’eros. In questo Cuba è davvero il paradigma della sinistra rivoluzionaria nel mondo, la descrizione pittoresca della sua parabola: fallita come rivoluzione sociale si riscatta come rivoluzione sessuale; dalla fabbrica si trasferisce in camera da letto, si fa capitale del turismo sessuale. Il comunismo voleva liberare gli oppressi, il cubaismo libera i repressi. E’ quel che in altri modi fa la sinistra in tutto l’occidente, che non attacca più il capitale e i privilegi e non difende più i proletari ma si accanisce contro la famiglia e la religione; non promette più equità sociale e giustizia economica ma diritti nuziali ai gay e diritti civili estesi agli animali. Caduto il comunismo, di Fidel resta il mito di un Capo che ha suscitato il nazionalismo popolare, anche grazie al duro embargo. Come un Mussolini tropicale. Il comunismo, anche a Cuba, andò a puttane.