Meno di un mese fa Netflix ci ha regalato un altro gioiello davvero prezioso: la nuova miniserie di 8 episodi “Stranger Things”, ideata e curata dai “Duffer Brothers”. La serie è un inno alla spensieratezza ed alla genuina ingenuità che si respira nei film degli anni ’80, la bravura di chi l’ha diretta è stata proprio quella di non cadere in un becero citazionismo nostalgico che ha così tanto successo oggi. Innumerevoli scene strizzano l’occhio a film come: ET, I Goonies, Stand by me, Alien e molti altri che non stiamo ad elencare perché trovate tutte queste scene in evidenza qui (ma guardatelo solo dopo aver finito la serie!)
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=wBjgFt6lVHM&feature=share[/youtube]
I fatti sono ambientati nel 1983, ad Hawkins, una tranquilla cittadina dell’Indiana che viene scossa dalla scomparsa di un bambino, Will Byers.
Qualcuno sta pensando a Twin Peaks? Non vi sbagliate, i riferimenti e le influenze non si fermano agli anni ’80. I suoi amici, “quelli che uno ha solo a 12 anni” per citare Stand by me, si mettono subito alla sua ricerca e nell’azione trovano Eleven, una bambina fuggita da un laboratorio nei boschi attorno la cittadina. Nel corso della trama ci accorgeremo che la bambina ha dei poteri particolari che derivano dagli esperimenti fatti in quel laboratorio. La madre di Will, splendidamente interpretata da Winona Ryder, darà grande prova di forza nel credere ai segnali luminosi che gli manderà Will dal “sottosopra” mentre tutto il paese la crederà impazzita per il dolore. Nella ricerca sarà aiutata dallo sceriffo della città Jim Hopper il cui tragico passato verrà rivelato solo verso l’epilogo.
Come vi sarete resi conto dagli accenni fatti più in alto con tutti questi riferimenti agli anni ‘80 si rischiava di fare confusione ed avere come risultato una brutta amalgama scomposta; per fortuna le cose sono andate diversamente.
Ogni scena è una gioia per gli occhi, ogni personaggio è caratterizzato limpidamente, i dialoghi non sono mai meramente didascalici (per quello ci sono le immagini dei flashback): in molti di essi per esempio trova il giusto spazio un’estetica aliena a molte altre produzioni, in alcuni Mike spiega ad Eleven cosa è una promessa o cosa è un amico, momenti come questi non sono rari (per fortuna) nella narrativa Dufferiana. Questo tipo di narrativa è inserita nel più vasto schema del racconto antologico: infatti ogni episodio è un capitolo con un titolo preciso e, messi insieme, compongono la trama tutta.
In pratica i “Duffer Brothers” hanno indossato le vesti degli alchimisti in maniera esemplare, ogni ingrediente è stato centellinato e non hanno abusato minimamente della nostalgia su cui facilmente si poteva fare leva a sproposito. Probabilmente da questa serie si dovrà ripartire per dare nuovo lustro a questi progetti nostalgici che sempre di più si moltiplicano.
Dato l’enorme successo di critica (soprattutto) e di pubblico che sta avendo la serie manca solo l’ufficialità per l’annuncio della seconda stagione che dovrà fare chiarezza su interrogativi oscuri e punti lasciati in sospeso: è di pochi giorni fa la notizia secondo la quale i “Duffer Brothers” non escludano l’idea di una crescita lineare e reale dei personaggi proprio come avviene in Harry Potter dove il legame fra attore e personaggio è vitale.
@barbadilloit