Nella mia borsa ci sono solo libri e strumenti per scrivere.
Passa al controllo, sullo schermo compaiono scheletri di giganti.
Poi mi fermano: può aprirla?
Dalla borsa spuntano Melville, René Girard, Julian Barnes, Thomas Mann, Gadda, Herzen, Conrad, George Steiner, penne, matite e taccuini.
Li legge tutti? Scrive?
Sì, tutti, e non mi bastano, sono solo una goccia della mia cura. Perché so di non sapere e ho fame di sapere. Molti di loro li rileggo, ora, dopo anni. Perché oggi mi parlano con una lingua diversa che da ragazzo non capivo. Divoravo i libri, non li gustavo, non li facevo decantare, pensavo di avere capito tutto. Sciagurato.
E invece erano uno scrigno con una combinazione segreta, un messaggio in bottiglia, un semplice messaggio: trova l’essenziale. E oggi in quella borsa c’è tutto quello che mi serve. E mi sento finalmente leggero, passeggio tra quelle pagine con gioia. Scrivo, non so fare altro. Scrivere è la cosa più povera del mondo. Essenziale.
Lo sguardo dell’addetto alla sicurezza si sofferma su Thomas Mann.
Non avevo capito niente de La Montagna Incantata e in realtà fin dalle prime pagine quel romanzo è qualcosa di grandioso:
“Imbruniva rapidamente. Un leggero rosso di sera che per un po’ aveva animato il cielo uniformemente coperto era già impallidito, e nella natura regnava quello stato di transizione scialbo, esanime, triste, che precede l’immediato calare della notte”.
Come una saetta mi viene in mente un verso di Shakespeare: “A che punto è la notte? All’ora incerta che comincia a lottare col mattino”. Eccolo, lo stato di transizione, l’attimo prima che tutto accada.
Può andare, il controllo è finito.
Mi allontano, vado al check-in.
Ora lo so: l’essenziale è invisibile agli occhi.
Volare.