Per la cronaca, Renato Garibaldi è l’apicoltore illuminato di Cercivento che ha condotto – e vinto – in Friuli una delle battaglie ecologiste più importanti: quella contro un elettrodotto che avrebbe sfigurato per sempre i profili intatti della Carnia. Ma è anche l’imprenditore che ha aperto il suo regno, il Bosco di Museis – una fattoria sociale dissimulata in un’abetaia secolare, completamente autonoma dal punto di vista energetico e del riciclo dei rifiuti, fatta di quindici eco chalet, di un auditorium che raccoglie almeno un centinaio di persone durante le serate culturali, di recinti per le bestie, orti, frutteti e file di alveari –, all’accoglienza dei migranti minorenni. È il personaggio mediatico che si è difeso fieramente, negli studi Mediaset, da quelli che parlano di “business dell’accoglienza” senza sapere come la fa lui, l’accoglienza. È l’uomo in lotta contro i pregiudizi dei valligiani e gli aggressori che si ammantano del buio per ferire più a fondo: nel mese di maggio un incendio doloso è divampato in un capannone del Bosco di Museis adibito a mensa e laboratorio e lo ha ridotto a uno scheletro nero. È un idealista ingenuo, per cui la politica continua a essere un ambito cui ci si accosta per dare e non per ricevere.
È, soprattutto, uno che sa che cosa succede quando un profugo bussa alle porte della vecchia, confusa Europa. Quanti problemi nascono, quali soluzioni si possono tentare.
Io non ho paura, Renato. E tu?
Neanch’io. Da cinque anni vivo con i matti (il Bosco di Museis accoglie anche italiani con disagi psichici), e quindi ci ho fatto l’abitudine. Chi ha agito a Saint-Étienne non è un fanatico dell’Isis: è uno che andava rinchiuso in manicomio. L’unica cosa che mi spaventa è l’incapacità dell’Europa di reagire fissando delle regole per chi bussa alle sue porte. La forza dei balordi dipende dalla nostra debolezza.
Un sacerdote francese è stato sgozzato da due musulmani fanatici. I tuoi ragazzi che vengono dai paesi islamici come hanno reagito?
Hanno condannato l’episodio senza mezzi termini. Sono scappati dalla guerra per stare in pace. La maggior parte di loro dà la colpa agli americani di aver armato l’Isis. Non vedono l’ora che i violenti vengano tutti uccisi e la si finisca.
Da te la storia arriva prima che da noi. Come guardi a quello che sta succedendo in Europa?
Questi episodi criminali, per uno che fa accoglienza, sono sempre un problema, perché per quanto bene tu la faccia, l’accoglienza, vieni additato come allevatore di terroristi. Mentre io formo ragazzi e ragazze straniere al rispetto, all’educazione, alla conoscenza della nostra Costituzione, al riguardo verso le consuetudini del paese che li ospita. Prima di mangiare, da noi si recita il “Padre nostro”, e nessuno dei duecentocinquanta ragazzi di tutto il mondo (manca solo l’Australia…) che sono passati per Museis si è mai permesso di contestarmelo. Questa regola l’ho imposta per ribadire la nostra identità di italiani ed europei.
In questo periodo gli italiani sembra che abbiano qualche problema di identità…
Eh, qui identità è diventata ormai la coca-cola, il telefonino, mentre i ragazzi islamici hanno il Ramadam. Anche noi fino a qualche tempo fa avevamo il suo corrispettivo, la Quaresima, e l’abbiamo abbandonata. La prova quotidiana dice che stiamo sbagliando tutto proprio perché non siamo in grado di definirci, e quindi, mancando i confini, i nostri ospiti fanno tutto ciò che è loro permesso, che è sicuramente troppo.
Per esempio?
La nullafacenza. Stiamo facendo passare il messaggio che se arrivi in Italia sei ospitato, lavato, vestito, curato, senza dare nulla in cambio. Non c’è niente di più antieducativo di questo. Molti migranti ricevono una paga dal nostro stato per non fare nulla. È talmente ovvia l’assurdità di un approccio del genere! Noi siamo cresciuti con il senso del dovere, con la relazione lavoro-dovere-benessere. Ai migranti proponiamo invece la formula: ozio-diritti-benessere. Bisogna far capire loro che il benessere si regge sul lavoro e sui doveri, non sull’ozio e sui diritti. E poi siamo troppo tolleranti dal punto di vista della giustizia: chi commette un reato dovrebbe essere subito rispedito a casa. Invece, se un cittadino afgano che ha un permesso di soggiorno per motivi politici spaccia, gli si fa il processo, viene condannato, ma rimane in Italia, perché essendo rifugiato non lo si accompagna nel paese d’origine: viene semplicemente messo in strada con un decreto di espulsione.
Qual è il tuo modello di accoglienza e come lo hai perfezionato?
La nostra esperienza con i migranti è cominciata, a titolo gratuito, con gli adulti del “Progetto emergenza Nord Africa” e prosegue ora con i ragazzi. È un’accoglienza che tiene conto fin dal primo minuto che “l’ozio è padre dei vizi” e che l’ordine è fondamento dell’armonia e nasce da un senso ferreo della gerarchia, dal rispetto delle regole, da un’idea di giustizia che sia incline alla benevolenza ma ferma. Nella nostra sala da pranzo sono stati dipinti alcuni ideogrammi che sono il testamento spirituale di un samurai: giustizia, fedeltà, coraggio, magnanimità.
Una piccola repubblica fondata sull’ordine, dunque…
Ma basterebbe anche solo prendere sul serio la nostra Costituzione. “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”? Allora non parcheggiamo le masse dei migranti a oziare negli alberghi. Da me i ragazzi prendono la paga solo se collaborano e rispettano ogni regola (compresa la puntualità). E se qualcuno sgarra, viene espulso, come di recente due pakistani che avevano saltato la scuola. L’altro giorno è venuto da me un giovane somalo tutto contento perché era riuscito a mettere via cinquantaquattro euro. Mi chiedeva se era possibile fare ancora qualche lavoretto.
Come gestisci la giornata dei tuoi ragazzi?
L’importante è che siano impegnati. Durante tutto l’anno non c’è un giorno di pausa delle attività, tranne le domeniche. Chi non sa l’italiano frequenta la scuola due ore al mattino e due nel pomeriggio. Dalle 14 alle 16, i ragazzi svolgono mansioni di supporto alla comunità: nella fattoria, in cucina, nell’orto, nel frutteto, nella falegnameria, accudendo gli animali. Negli altri orari sono impegnati in attività sportive e giochi: c’è il campo di calcio, di pallavolo, di cricket, un piccolo canestro. Pur supportati da noi, sono tenuti a badare all’ordine e alla pulizia del proprio alloggio. Anche in estate a Museis la scuola non si interrompe e comprende lezioni di educazione civica e storia e tradizioni locali, di educazione sessuale, di ecologia, ma anche cineforum e teatro. Daniel Spizzo, un docente dell’università di Trieste, ha organizzato con i ragazzi uno spettacolo, che è stato presentato anche al Folkest, in cui suonano e cantano e raccontano il viaggiare.
Problemi? Mai?
Cerco di contenerli riunendo periodicamente tutti quanti e mettendo i puntini sulle i. Anche l’altro giorno ho ribadito che Museis non è un villaggio vacanze; che pretendo che siano puntuali, che voglio sentirli parlare in italiano anche tra di loro. Hanno bisogno di autorità, altrimenti non ti rispettano. Di confini ben definiti. Di regole. Occorre, però, una coerenza estrema da parte di chi comanda. A noi come stato manca questa autorità-autorevolezza. Io applico le regole prima per me che per i miei ragazzi. Il mio è un telefonino da cinquanta euro e giro sulla vecchia Punto grigia che mi ha lasciato don Elio Venier.
A Museis tutto dice del tuo sentimento di estremo rispetto verso la Chiesa.
L’auditorium dove si svolgono le serate culturali è dedicato appunto a don Elio, già docente all’Università Lateranense, letterato e poeta. Lui è stato per me un mentore, un uomo e un prete straordinario, che ha rifiutato cariche e onori a vantaggio della coerenza. Una persona di grandissima cultura e profonda umiltà. Ancora mi chiedo quanta fortuna ho avuto a conoscere un uomo così severo con sé stesso prima che con me. La Chiesa cattolica, oggi, è veramente un modello che si contrappone e si propone alla nostra società, purtroppo inascoltato. È l’ultimo baluardo. Il cristiano tipo è sobrio, ottimista, amorevole. La nostra società è diventata invece scialacquatrice, pessimista, egoista. La Chiesa sbaglia solo negli eccessivi buonismi: chi viola le regole dev’essere punito e questo va detto ad alta voce. Ma ha fatto più danni alla mafia e alla camorra un don Ciotti che Falcone e Borsellino.
Il tuo modello di accoglienza si potrebbe estendere a livello regionale e nazionale?
Dico sempre ai gruppi scolastici che vengono a trovarci: “quali doti dovrebbe avere un capo? Coerenza e sobrietà. Ebbene, nei nostri governanti sono sconosciute…” Il peggior esempio che si può dare all’ospite è proprio questa banda di politicanti corrotti, viziati, incapaci, nel migliore dei casi dilettanti allo sbaraglio. Chi dei nostri onorevoli può chiamarsi onorevole? L’onorevole Cuffaro?… L’onorevole Formigoni?… E infatti i migranti non vanno in Svizzera, dove l’accoglienza funziona ed è ben regolamentata: vengono qua, dove c’è una politica equivoca, informe.
Continua, continua…
Il sistema sta per implodere: lo dice la polizia, lo dicono i responsabili dei centri di accoglienza seri. Oggi mi ha chiamato la polizia di Tarvisio per chiedermi se posso tenere altri nove ragazzini. Arrivano ondate continue di stranieri e manca del tutto un progetto per gestirli. Ci stiamo costruendo un disastro addosso, perché continuiamo a parlare di emergenza quando è finita due anni fa, l’emergenza. Fa orrore vedere profughi che dormono nei parchi come barboni mentre si tollera che in Italia ci siano i furbetti che vengono da paesi non in guerra, gente che arriva buttando via il passaporto. C’è una legge nazionale, che prevede che si debba avere un lavoro per arrivare qui: va fatta rispettare.
Io pongo continuamente dei paletti nell’accoglienza: se un ragazzo dichiara diciassette anni, non lo prendo, perché spesso è una truffa. Albanesi, kosovari, tunisini, marocchini li rifiuto, perché il loro paese non è in guerra. Ma questo dovrebbe farlo, prima di me, lo stato.
Cercivento è vicino al paese delle meraviglie, Illegio, dove don Alessio Geretti, con le sue mostre d’arte, porta la bellezza tra gente che ormai si vergogna di provare ammirazione; si vergogna di tutto quello che non sia aggredire il sogno del futuro, in pensieri, parole, opere – omissioni. La mostra di quest’anno s’intitola “Oltre. In viaggio con cercatori, fuggitivi, pellegrini” (degli splendori di quell’“oltre” si possono indovinare i profili leggendo la didascalia che accenna al senso della mostra: “per secoli s’è scritto di uomini che si son fatti pellegrini in terra per mendicare frammenti di cielo, o pellegrini in cielo per medicare frammenti di cuore”). Alcuni tuoi ragazzi fanno le guide a Illegio: il migliori dei riconoscimenti?
Quest’anno c’è Sharif, che viene da Kabul, parla correntemente parecchie lingue ed è cresciuto nella scuola di Museis. In lui si è vista subito la nobiltà d’animo, la dignità naturale. Ecco, la razza cui dovremmo sperare di appartenere è quella che sa riconoscere la bellezza.
Com’è l’Italia guardata dall’alto dei monti della Carnia?
Non un bello spettacolo. Noi non siamo più il paese degli uomini, ma delle bandiere. Che grosso sbaglio! Oggi servono invece buone leggi e buoni uomini. Uomini capaci, onesti, buoni padri, rigorosi, seri. Occorre rinsaldare la struttura e l’ordine della famiglia (tutti i giovanissimi italiani che arrivano da noi con provvedimenti del tribunale vengono da esperienze familiari disastrose). E un giro in più a Illegio.