L’orrore ha un senso fisico: molti di noi non lo conoscono. Alcuni si. E’ fatto di adrenalina, di succhi gastrici, di reazioni non controllate. Di adattamento spontaneo al dolore. Mi viene in mente Marlon Brando interpretare il monologo sull’orrore del colonnello Kurtz mentre osservo le immagini di Orlando, Nizza, Monaco e Rouen. Altre stragi le ho già dimenticate. Quel tipo di orrore non lo si comprende, ma lo si intuisce. Si può arrivare a tanto, a tutto? Sì, con lucida follia. E qui sta il nodo: per noi occidentali quel tutto deve essere ridotto al mimino, all’imprevisto. Un camion, un folle, un depresso, un isolato, un’arma, una chat, una transenna poco sorvegliata. I media mainstream pompano il concetto. Falle del sistema. Nulla di più. (Non) Abbiate paura.
Il senso comunitario dell’orrore, invece, sembrerebbe ormai sparito: il Sacro calpestato, l’Agnello sgozzato, il Tempio profanato, la sottomissione, le identità etniche e religiose che, nella globalizzazione, ribollono e riemergono. Samuel Huntington, lo Scontro delle Civiltà, e i populismi usati all’interno del gioco democratico e geopolitico. Su questo piano suona tutto già scritto, tutto poco funzionale. Come si può ragionare di identità avendole abolite? E senza avere un Pil adeguato a tanto ragionare. Un inutile sforzo intellettuale: le identità si spengono al salire del deficit locale. Senza tasse, senza risorse, senza pace sociale, persino un umile prete di provincia smette di essere un simbolo trascendente, assieme alla sua chiesa. Lo ha detto, ‘candidamente’, lo stesso Papa Francesco: “siamo in guerra, una guerra di risorse, ma non una guerra di religione”. Pregate, pagate e (non) abbiate paura.
L’orrore, dunque, non ha più nemmeno un significato culturale. Forse perché nulla ha più una dimensione culturale. Tutto accade. Semplicemente. L’uomo globale è l’uomo del qui e dell’ora. Non si deve fare domande, non deve ragionare, né capire la direzione del tempo che trascorre. E’ l’uomo ape, il lavoratore jungeriano privato della sua dimensione eroica e ridotto ad ingranaggio dell’immenso Leviatano: dotatissimo di agi e di diritti, gli è ormai precluso il pensare, il comprendere il rapporto che esiste fra il Sé e la sua Circostanza. Tutto il male che gli accade è una piccola falla, un imprevisto del sistema che il Leviatano globale eliminerà con calma in cambio di un pezzetto sempre più grande di libertà, di cultura, di debito.