Il popolo di Salvini – La Lega Nord fra vecchia nuova militanza (pp.130. euro15), di Andrea Pannocchia e Susanna Ceccardi, appena pubblicato da Eclettica Edizioni, si presenta come un contributo innovativo nella letteratura dedicata al Carroccio e al suo Segretario federale.
Innanzitutto per il profilo dei due autori e per la metodologia adottata.
Uno dei due è Andrea Pannocchia, sociologo della comunicazione e giornalista, che per la casa editrice di Massa ha già pubblicato Alla base del Fini versus Berlusconi, Quelli che… la sezione, Gli artigiani dell’etere, Scenari – Riccardo Migliori e l’esperienza all’OSCE, Ellada 2013 – la crisi della Grecia raccontata dai suoi cittadini; libri molto diversi fra loro, anche per l’eterogeneità degli argomenti, ma che hanno in comune la prevalenza data alle interviste in profondità ai protagonisti delle storie narrate, alla ricerca delle motivazioni di fondo dei comportamenti investigati, all’analisi degli aspetti culturali che stanno alla radice di fenomeni di breve o lunga durata.
L’altra autrice è Susanna Ceccardi, combattiva militante della Lega Nord che, al termine del percorso, cioè proprio quando il libro stava per uscire, è diventata, contro ogni pronostico, Sindaco di Cascina, il secondo Comune della provincia di Pisa, una terra nella quale il Pci e i suoi “derivati” hanno sempre raccolto fra il 60 e il 70% dei consensi. La vicenda di Susanna – diventata popolarissima dopo l’impresa anche per essere il primo Sindaco leghista della Toscana e per gli endorsement ripetuti di Matteo Salvini, che a Cascina è venuto addirittura a tenere la conferenza stampa di analisi delle elezioni amministrative dello scorso giugno – è raccontata in uno dei capitoli in cui si struttura il libro.
La metodologia, dicevamo. Pannocchia e Ceccardi, uniti da un legame di amicizia e di vicinanza geografica, abitando entrambi in provincia di Pisa, hanno deciso di scrivere a quattro mani un libro mettendo assieme lo sguardo interno e quello esterno, quello dell’osservatore e quello della militante, la dicotomia fra coinvolgimento e distacco, la diversa prospettiva di chi analizza e di chi fa politica attiva. E lo hanno fatto intervistando venti esponenti (fra dirigenti, militanti e amministratori) della Lega Nord, dalla Valle d’Aosta all’Umbria, e tre di Noi con Salvini (in Puglia, Campania e Calabria) con domande sulla loro biografia politica e sulla loro opinione circa quello che stava avvenendo all’interno dell’arcipelago verde.
Il punto di partenza era molto chiaro. Matteo Salvini, fino a poco prima noto solo agli addetti ai lavori della politica, eredita nel 2013 una Lega Nord ridotta al lumicino e la rianima al punto tale da portarla a essere il partito più forte dell’area di centrodestra e, addirittura, a condurlo, sia pure con la mediazione del movimento Noi con Salvini, al Sud.
Come ha fatto? Quali le continuità e quali i cambiamenti rispetto al passato?
Ne è venuto fuori un testo denso e al tempo stesso scorrevole che – certo senza i consueti stereotipi antipatizzanti verso il leghista brutto, sporco e cattivo ma nemmeno senza esaltazioni apologetiche o minimizzazione dei dissensi o mal di pancia che pure esistono – prova a dare delle risposte ai quesiti di partenza, cercando di inserire le risposte degli intervistati all’interno di frame originali e di un’analisi attenta delle dinamiche politiche e comunicative.
Un testo che affronta tante questioni.
Il senso dell’essere leghisti, l’eredità di Bossi e Maroni, il fascino e i timori legati sia a una leadership personale sia al timore di perdere la prospettiva indipendentista a causa dello sbarco al Sud, la visione sovranista legata al No Euro e all’alleanza non scontata con Marine Le Pen, la politica internazionale della Lega.
E che prosegue con la ricognizione sulle abilità nella comunicazione del Capitano e con il racconto degli aneddoti che legano gli intervistati al loro leader, prima delle doppie conclusioni, quella esterna di Pannocchia e quella interna di Ceccardi.
Uno dei leit motiv del libro è l’”elogio dell’apparente paradosso” di Salvini, forse uno dei motivi del suo successo.
Figlio fra i più fedeli e ortodossi della mitopoiesi leghista e del suo principale rito, la Woodstock di Pontida, milanese per nascita e per territorio primario di azione politica (il Consiglio comunale meneghino), nordista convinto, da alcuni anni viene acclamato festante nelle piazze del Sud, dove ha addirittura creato un movimento parallelo alla Lega e che porta il suo nome.
Cresciuto nella ritualità della vita di sezione, ricca di dibattiti lunghi e di mediazioni a volte estenuanti, prende decisioni rapide e, sovente, anticipa i suoi competitor e li costringe, imponendo l’agenda al sistema politico e mediatico, a schierarsi su quella tematica; Segretario del partito più “leninista”, più identitario e più longevo della Seconda Repubblica lo rilancia quasi esclusivamente grazie al suo carisma, tanto da far dire a più di un osservatore o militante che oggi la Lega è Salvini.
Esalta i propri seguaci, di antico e di nuovo conio, proponendo ricette che potrebbero sembrare di sinistra (il No alla Legge Fornero), liberiste (l’introduzione della flat tax), e sovraniste (l’uscita dall’Euro).
È laico quando parla delle esigenze dei genitori separati; è cristiano nella difesa delle prerogative delle famiglie tradizionali (da cui il no alle unioni civili e le polemiche contro i maestri e i presidi che, per compiacere qualche bambino di religione islamica, rinunciano a celebrare il Natale a scuola); è pagano quando chiede di legalizzare la prostituzione.
Come ogni buon leghista che si rispetti, è schierato contro l’immigrazione clandestina, ma con un lessico in parte diverso da quello del passato, alternando registri che vanno dal timore dell’islamizzazione crescente alla paura di attentati, dalla denuncia delle cooperative che fanno lucrosi business sull’accoglienza al rischio della sostituzione etnica, fino a quello, più nuovo e forse più persuasivo, della necessità di aiutare, in un contesto caratterizzato dal venir meno di sempre più risorse, in primis gli italiani e di non illudere chi arriva con promesse d’aiuto che non potranno essere mantenute.
Oltre a questo, il libro mette in evidenza come Salvini riesca a parlare all’Italia profonda.
Un’Italia che non desidera farsi imporre tradizioni diverse dalle proprie in nome del politicamente corretto.
Un’Italia che è fatta di tanti produttori, soprattutto piccoli e medi, che temono la globalizzazione, la burocrazia e le tasse; che non sopporta il dirigismo e le imposizioni dello Stato centrale e tantomeno dell’Unione Europea; che è tradizionalmente molto diffidente nei confronti della politica e dello Stato, ma anche degli intellettuali engagé, e per questo si è opposta e si oppone alla sinistra.
Salvini si rivolge a questa Italia con una politica all’insegna del pragmatismo, e
lo fa ribaltando le definizioni più negative, in primis quella di populista, un termine che viene rivendicato e assunto con la valenza positiva di chi sta vicino al popolo e alle sue esigenze; e alternando il registro della paura a quello della speranza, come quando ripete che l’avversario vero non è il Pd, bensì la rassegnazione, derivante dalla convinzione che le cose non cambieranno mai.
La capacità empatica, la resistenza alla fatica, la passione per la causa e la semplicità nel porsi – combinandosi con la sapienza comunicativa esemplificata nello schema T-R-T (Televisione-Rete-Territorio), ovvero nella capacità di padroneggiare vecchi e nuovi media senza tralasciare il contatto diretto con gli elettori – sembrerebbero candidare Matteo Salvini a rappresentare in maniera efficace queste fasce di società e queste inquietudini diffuse.
Qualcuno ha parlato di una nuova destra, sottolineando l’afflusso importante di persone, provenienti dalla tradizione del Msi e poi di An, transitate nel Carroccio anche perché tranquillizzate dal venir meno dei toni indipendentisti, e riferendosi ad alcuni legami come quelli con Casa Pound. Certamente chi ha fatto parte di quelle esperienze può avere molti motivi di guardare con interesse alla nuova Lega, ma non mancano altri orfani raccolti dalla zattera verde, tanto accogliente quanto variegata. Ci sono i laici abbandonati dagli ambienti progressisti di provenienza sul tema del rapporto con l’Islam. Ci sono quelli che volevano la rivoluzione liberale e non l’hanno avuta da Silvio Berlusconi. Ci sono anche quelli, specie nelle regioni rosse, che per una vita sono stati di sinistra perché il Pci si occupava delle loro vite e se ne sono allontanati quando i post-comunisti hanno cominciato a occuparsi più di famiglie arcobaleno che delle esigenze degli orafi, degli apicoltori, dei conciatori, degli ambulanti.
Insomma, un racconto corale, uno spaccato inedito di un microcosmo molto più ricco e articolato di quanto comunemente sia rappresentato sui media, da cui emerge la convinzione di fondo dei due autori che, al netto di errori e incognite che pure esistono, la scommessa di Salvini è stata vinta.
E, come scrive Susanna Ceccardi nelle sue conclusioni “interne”, alludendo anche alla sua vittoria, Ci siamo riscattati, siamo tornati presenti sul territorio, abbiamo individuato temi nuovi da affiancare alle battaglie più tradizionali, abbiamo ridato visibilità alle nostre bandiere e ai nostri simboli, abbiamo restituito spazio e voglia di essere protagonisti anche ai quadri periferici e ai giovani, abbiamo fatto crescere una nuova classe dirigente che è anche capace di amministrare e si appresta a raccogliere la sfida del governo nel cuore di tante roccaforti conquistate con anni di duro lavoro sul campo. Abbiamo un leader forte e carismatico che però lascia spazio e visibilità anche agli altri. Un leader che si impone con la forza del saper ascoltare e consigliare, più che di comandare a bacchetta. E tutto questo lo abbiamo fatto mettendoci la faccia, non delegando a qualcun altro il compito di cambiare le cose che non ci piacciono ma scommettendo su noi stessi.