Strana sorte quella degli scrittori di fantascienza o di fantastico in Italia. Quelli bravi s’intende, originali di idee e dallo stile adeguato alla bisogna. Apprezzati e noti magari anche all’estero, non sono riusciti a trovare un positivo e regole sbocco editoriale nel Belpaese, ma essendo incapaci di restare con le mani in mano, frullando in testa sempre mille idee, si sono dovuti reinventare un ruolo o, come dire, riconvertire. Un po’ come quelle aziende che devono adeguarsi alle richieste dell’onnipotente mercato. E poiché un vero e proprio “mercato” di narrativa dell’Immaginario latu sensu in Italia non esiste, se non in collane da edicola o in piccole o piccolissime case editrici specializzate, sono stati costretti a imboccare strade diverse per farsi valere.
Paradossalmente gli anni Settanta e Ottanta del secolo che abbiano alle spalle erano più ricchi di editori e di soddisfazioni nel campo del fantastico. E così ecco che autori come Nicola Verde e Roberto Genovesi, ma anche Marco De Franchi e Errico Passaro si sono fatti apprezzare nel giallo, nel thriller, nell’horror e nel romanzo storico, magari anche con venature fantastiche.
Caso emblematico è Luigi De Pascalis (classe 1943). Dopo aver esordito nel 1965 con ottimi racconti su Oltre il Cielo e Galassia, dopo essere stato tradotto negli Stati Uniti (uno dei primissimi) nella antologia di heroic fantasy curata da L. Sprague de Camp (The fantastic swordsmen, 1967) e in Francia sulla rivista internazionale Antares, dopo aver vinto nel 1985 il Premio Tolkien per il romanzo, ad un certo punto, non potendo aspettare in eterno il beneplacito dell’editoria italiana, ha cominciato a scrivere altro alla fine del Novecento, vale a dire romanzi storici dove però ha cercato, quanto poteva, di infilare il fantastico, il mitico e l’esoterico: si veda ad esempio la affascinante trilogia che ha come protagonista il magistrato Caio Celso a partire da Rosso Velabro (Irradiazioni, 2003; La Lepre, 2010). A lui si deve anche una saga familiare, quella degli abruzzesi Sarra, scritta negli anni Novanta e che ha visto la luce soltanto molto tempo dopo, il cui risultato è stato uno dei migliori romanzi fantastici “italiana”: Il labirinto dei Sarra (La Lepre, 2010).
Ma i suoi maggiori exploit sono stati La morte si muove nel buio (Mondadori, 2012) con protagonista Cellini durante il sacco di Roma del 1527; Il mantello di porpora (La Lepre, 2014), una biografia romanzata dell‘imperatore Giuliano, finalmente al di fuori della damnatio memoriae e che ridà l’onore a un grande protagonista della storia romana, e da poco Notturno bizantino (La Lepre, 2015) sulle ultime ore di Costantinopoli e la caduta dell’impero romano d’Oriente nel 1452 a opera di Maometto II. I primi due romanzi sono stati in finale al Premio Acqui Storia senza fortuna, mentre il terzo lo è adesso alla edizione 2016 con concrete probabilità di vincere un premio prestigioso che coronerebbe la lunga e poliedrica carriera di scrittore di Luigi De Pascalis. Anche perché Notturno bizantino, oltre ad essere molto ben ricostruito nei particolari storico-culturali e oltre ad affascinare il lettore con i suoi intrecci, affronta un tema di pressante attualità, quello del contrasto fra due religioni e due civiltà, una delle quali è forte delle sue ragioni e credenze, mentre l’altra è tremebonda, scettica sul proprio ruolo e divisa al suo interno per motivi politici e religiosi”.
Come mai questa scelta?
“Sono una persona molto curiosa e amo la storia. Nell’approfondire le vicende della caduta di Costantinopoli mi sono reso conto di essermi imbattuto in un vero e proprio archetipo che ricordava la guerra di Troia. Ho deciso di raccontare questa storia a mio modo dando rilievo a personaggi di cui mi ero innamorato: la bella Cleofe Malatesta, l’avventuriero Giustiniani, la nobile Anna Notaras, il potente cardinale Bessarione, il grande Giorgio Gemisto Pletone, quasi mitica figura di filosofo neoplatonico. Ma, mentre scrivevo, altri personaggi si sono aggiunti, di fantasia. L’incontro più sorprendente, e in fondo imprevisto, è stato quello con Teodora, la protagonista femminile, un personaggio complesso e forte, molto amato dalle lettrici, che sembra venire direttamente dalla grande tradizione letteraria greca. Un altro motivo di questa scelta è la convinzione che, generazione dopo generazione, tocchi a tutti battersi per la sopravvivenza di una Bisanzio”.
Perché Notturno e non, ad esempio, Crepuscolo bizantino?
“Perché la conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II ha significato la morte, e dunque la notte senza speranza, del millenario impero bizantino e di tutto ciò che restava della civiltà tardo-antica. Impero abbandonato alla sua sorte dagli Stati europei che non avevano capito le conseguenze di quella capitolazione, e da un Papato non meno ottuso. Non si sarebbe trattato di una nuova “crociata”, ma di difendere dei valori etico-politico-religiosi in cui evidentemente non si credeva più. Le ripercussioni sarebbero durate almeno due secoli, sino all’assedio di Vienna…”.
Sembra particolarmente attratto dalle epoche di crisi: Caio Celso alla fine del IV secolo, dunque al crepuscolo del paganesimo; Cellini nel XVI secolo, durante il saccheggio di Roma da parte dei lanzichenecchi; l’imperatore Giuliano che, a metà del IV secolo, tenta di opporsi con buone ragioni filosofiche e politiche al cristianesimo emergente e fallisce; la caduta dell’Impero romano d’Oriente nel 1452…
“Sì, è vero, sono molto interessato ai momenti in cui una società soppianta un’altra e tenta di sradicarla perché è in quei momenti che avviene una strana commistione tra passato e presente. E persistono comportamenti e rituali che però cambiano di senso e d’impatto sociale. Penso al 25 dicembre, giorno di nascita prima di Mithra e poi di Cristo, o ai Saturnalia che si trasformano nel tempo in Carnevale, al dio Pan che diventa il diavolo, eccetera”.
Come è avvenuto, mentalmente parlando, il passaggio da opere di fantasia pura e addirittura di fantascienza a storie via via sempre più realistiche?
“Sono stato e resto convinto che il buon fantastico, facendo leva sull’archetipo, spieghi il mondo molto meglio di un noir in fondo confezionato secondo stereotipi (e c’è una differenza profonda tra stereotipo e archetipo!). La sfortuna della letteratura fantastica è che per praticarla e apprezzarla occorre sospendere la convinzione di sapere tutto del mondo e accendere la fantasia (la visionarietà) su un “altro” mondo possibile. Oggi la fantasia scarseggia e la pigrizia mentale impera. Da qui la crisi del fantastico (quello scritto, perché quello visuale domina al cinema; una curiosa dicotomia che andrebbe approfondita).
Ma un altro grande limite dei nostri giorni è la mancanza di memoria. Siamo ormai una civiltà senza memoria, condannata a un eterno e confuso presente di cui chi può approfitta per arricchirsi e vessare i più deboli e inermi. Mi sono detto che il vero e unico compito civile di uno scrittore oggi sia quello di farsi custode e difensore della memoria; perché è il passato la chiave di comprensione del presente. Se avessimo più memoria, sono convinto che commetteremmo meno errori; anzi, meno stupidaggini. Se conoscessimo a fondo, per esempio, ciò che furono davvero le invasioni barbariche, al di là dell’immaginario filmico anni Sessanta che ci domina ancora, saremmo molto più cauti e attenti rispetto ai fenomeni migratori di oggi. Qualcuno in Europa vorrebbe che nei libri di storia non si parlasse più, per allora, di “invasioni barbariche” e “popoli barbari” bensì di “popoli migranti”… Sicché ricordo che oggi questi “migranti” li stiamo accogliendo proprio come nell’Impero romano dove i “barbari” furono integrati, inclusi perfino nell’esercito, e i contrasti di cultura e di visione della società, nonostante i tentativi di conciliazione e integrazione, sfociarono alla fine nelle guerre gotiche e nel dominio d’Italia con dinastie barbariche, fino a Carlo Magno e discendenti!”.
A cosa sta lavorando in questo periodo?
“Dopo aver raccontato una storia corale, sia pure con risvolti intimistici come Notturno bizantino, ho pensato di cambiare parzialmente registro: sempre romanzo storico, ma diversa epoca – stavolta i primi decenni dell’Ottocento; il mondo dell’arte – Goya e le sue pitture nere alla “quinta del sordo”; e due tormentate storie d’amore. Tutti i personaggi (meno tre secondari) sono storicamente documentati. E’ la prima volta che nella mia produzione s’incontrano le mie due passioni di sempre – scrittura e pittura – e l’esperienza mi è così piaciuta che forse la ripeterò. Magari non subito, perché ci sono molti straordinari personaggi rigorosamente veri che sono in paziente attesa di chiamata”.
Tornerà mai alla narrativa fantastica?
“Perché no? Se un archetipo chiamerà dal futuro starò a sentire con interesse la sua storia”.