
La Galleria d’Arte Moderna di Roma offre, sino al 30 ottobre 2016, una ghiotta opportunità per riscoprire un periodo eccelso dell’arte italiana. Le prime edizioni storiche della Quadriennale d’Arte Nazionale degli anni ’30 sono state un momento fondamentale per la storia della collezione della Galleria d’Arte Moderna della Capitale, che in quelle occasioni si arricchì di opere di grande importanza. Una politica culturale, questa, oggi impensabile, con uno Stato che sta oramai delegando tutta la gestione del Patrimonio alla speculazione privata, nonché palesando la malvagia idea di potere addirittura lucrare sulla sua vendita. Questa mostra è dedicata alle opere acquistate dal Governatorato di Roma durante le tre edizioni della Quadriennale. Un periodo col quale alcuni ottusi ideologizzati si ostinano a non volersi confrontare e, va da sé, nemmeno con l’espressione artistica che si è sviluppata in esso. Peccato per loro – cattedratici intrisi di preconcetti lisi – che l’Italia proprio in quegli anni abbia probabilmente prodotto il meglio a livello internazionale, e non ci riferiamo soltanto a Mario Sironi: ritenuto da Pablo Picasso il più grande pittore del Novecento. In quelle nodali manifestazioni espositive, destinate a rappresentare l’arte italiana nelle sue diverse tendenze, si è codificata una preziosa e unica visione nel rapporto con la modernità, all’insegna della forma e non, come per converso stava avvenendo all’estero, in un astrattismo nichilista e autoreferenziale.
La Quadriennale romana nacque in un vasto piano di riordino e razionalizzazione delle iniziative a carattere espositivo sul territorio del Paese. L’idea era quella di concentrare le forze più rappresentative dell’arte italiana in una sola grande mostra, quasi in contrapposizione col respiro internazionale della Biennale di Venezia, la quale, come molti fingono di non sapere, ebbe un enorme impulso dal tanto vituperato Regime.
Le prime tre edizioni (1931, 1935, 1939) videro come animatore una figura di assoluta qualità nel panorama culturale italiano, quel Cipriano Efisio Oppo (coordinatore nella veste di Segretario Generale) che oggi, finalmente, si sta cominciando a riscoprire. Questo intellettuale ed esponente politico del fascismo si confermò pure in questo caso un acuto stratega, riuscendo a valorizzare non solo gli artisti “organici”, ma pure coloro che erano indifferenti e, persino, ostili al fascismo: è il caso dei membri della cosiddetta Scuola Romana. Con la Quadriennale venne concretizzato il progetto di una Galleria d’Arte Moderna della città, inaugurata nel 1925 in Palazzo Caffarelli e ribattezzata nel 1931 Galleria Mussolini, rappresentando il fiore all’occhiello del Governatorato di Roma. Nel giro di pochi anni, una intensa campagna di acquisti portò a fare entrare nel Patrimonio Pubblico più di trecento opere.
Oggi il Museo ha una intima e raffinata sede in via Francesco Crispi. Pochi lo conoscono, sbagliando, giacché esso conserva migliaia di pezzi, e se è vero, come abbiamo sostenuto sopra, che l’Italia produsse i migliori artisti del secolo scorso, allora si capisce che abbiamo a che fare con una collezione di livello internazionale. Infatti, tutta la mostra è composta da opere (120) selezionate nei fondi della raccolta capitolina.
Non solo arte comunque, nel percorso troviamo altresì documenti storici e immagini provenienti dalla Fondazione “La Quadriennale di Roma” e dall’Istituto Luce-Cinecittà. Vi sono delle lettere assai interessanti, come quella di Filippo Tommaso Marinetti a Benito Mussolini del 29 agosto 1930, per far ammettere i futuristi alla prima edizione della rassegna. Colpisce il tono decisamente confidenziale della missiva, con un Marinetti che si rivolge in modo familiare al Duce, così da ottenere una deroga al regolamento, per far esporre le opere dei futuristi al 2° piano della mostra. Un singolo elemento, questo, che conferma la sensibilità intellettuale di Mussolini, capace di proporsi come “uomo di guerra”, ma, nel contempo, aperto a dialogare pure con gli artisti.
A proposito di “logistica”, le prime tre edizioni della Quadriennale si svolsero, come da allora sarà consuetudine, nel Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale, abbellito da allestimenti di eccezionale eleganza, nel più chiaro stile razionalista. Se la prima edizione vede la partecipazione della generazione dei grandi maestri (Carrà, Casorati, Martini, Sironi, Tosi), la seconda è rivolta in maniera più esplicita alle nuove leve (Cagli, Capogrossi, Cavalli, Gentilini, Mafai, Mirko, Scipione, Ziveri), mentre la terza risente fortemente del clima bellico e non riesce a incidere come avevano fatto le due precedenti.
Nello studio della evoluzione della Quadriennale “fascista”, spicca il netto contrasto tra le due anime del Regime: una incline a un totalitarismo che mirava ad appiattire tutto sulla cultura ufficiale, mentre l’altra si mostrava aperta, colta e raffinata, predisposta a dare puntualmente spazio a voci creative non sempre amiche del Governo. Tra i maggiori artisti di quel periodo, molti scelsero di aderire all’ideologia fascista; è il caso di Arturo Martini. Infatti, se Sironi è stato il pittore del Regime, Martini ne fu lo scultore ufficiale e, proprio alla stregua di Sironi, mai però in modo dogmatico, riportando nelle sue statue una forte introspezione e inquietudine: Il pastore (1930 ca.). Se, quindi, le opere di questi due grandissimi artisti non si esauriscono nella pura retorica, lo stesso non si può dire per il bel bronzo di Ercole Drei: Il seminatore (1937), nel quale ritroviamo tutta quella propaganda legata al lavoro, segnatamente rurale, così cara a Mussolini.
Sono davvero molte le opere degne di nota, a cominciare dalla Susanna (1929) di Felice Casorati, la cui nudità è ripresa sempre da quel punto di vista “sopraelevato”, tipico di questo straordinario pittore e che ricorda molto la prospettiva della stampe giapponesi (ukiyo-e). Non poteva, in questa celebrazione dell’arte degli anni ’30, mancare proprio Sironi, che con la sua tela, La famiglia (1927), esposta alla Quadriennale del 1931, conferma quella che noi amiamo definire la sua: “religiosa laicità”. Di questo pittore si potrebbe parlare per pagine e pagine; noi ci limitiamo a dire, sapendo di forzare un po’ il concetto, che egli è una specie di “Caravaggio del ‘900”: alla stregua del travagliato artista lombardo, quando si entra in una sala, un quadro di Sironi lo si nota subito.
Interessante è inoltre il lavoro di Felice Carena, dal titolo: Uomo che dorme (1938), dove per mezzo di un sottile gioco prospettico, ci viene resa una scena che ricorda chiaramente il romanzo I viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift. Forse una delle tele “fasciste” per antonomasia è quella di Carlo Carrà: Sintesi di una partita di calcio (1934), in cui si glorifica, con concitata azione, quella fisicità incentivata dal Regime, che moltissimo si spese per far diventare, riuscendoci, l’Italia una potenza sportiva; non dimentichiamoci, infatti, che la mitica nazionale di Vittorio Pozzo vinse ben due mondiali – all’epoca si chiamava Coppa Rimet – di fila (1934 e 1938). Proseguiamo con quel genio italiano che è il “futurista naïf” Fortunato Depero: Dinamismi futuristi (“Polenta a fuoco duro”, 1924 – 1926). Comunque, possiamo dire che per una volta l’opera più bella in mostra non sia una di Sironi, poiché in quella Scuola Romana, qui così così ben rappresentata, spicca un capolavoro di Scipione (pseudonimo di Gino Bonichi), morto nel ’33 a soli 29 anni. Il cardinale decano (1930) lascia senza fiato, con quella sua “luce interna” simbolico-espressionista. Una tela magnifica e ingiustamente non apprezzata a livello internazionale quanto dovrebbe, nel cicaleccio dei critici fossilizzati sugli impressionisti e van Gogh, così da compiacere i musei americani che li hanno comprati in massa, facendo un favore non da poco alla superbia transalpina.
La mostra in corso a Roma ci ricorda come le edizioni della Quadriennale degli anni ’30 coincisero con un momento incredibilmente felice e di grande fervore per quegli artisti appoggiati dal Regime, nel fiorire delle commissioni pubbliche, delle occasioni espositive, degli innumerevoli incentivi economici dati alla cultura. Verissimo, questa la si può definire propaganda, nessuno lo nega. Purtuttavia, il sistema politico elaborato dal fascismo aveva alle spalle delle persone intellettualmente preparate come Giuseppe Bottai e il succitato Oppo, per non parlare della guida pedagogico-scientifica di uno dei più grandi filosofi del ‘900 quale fu Giovanni Gentile. Tutto questo portò al coinvolgimento non solo di quegli artisti e studiosi “simpatizzanti”, ma pure di esponenti lontani dal governo dell’epoca, poiché al fascismo interessava essenzialmente promuovere il genio italico, quello sapientemente sintetizzato nella scritta che tuttora fa mostra di sé sulla facciata del Palazzo della Civiltà Italiana, oggi infelicemente affidato al brand Fendi, svilendo il ruolo culturale di quello che è, probabilmente, il più importante edificio razionalista. In aggiunta, questo evento espositivo è assai utile per comprendere che quegli anni ’30 furono, per dirla con Renzo De Felice, un periodo di “consenso”, e ciò non avvenne tramite un bieco indottrinamento, come per il nazionalsocialismo tedesco. Gli italiani percepirono intorno a loro una dinamicità, un progresso continuo, una Italia ambiziosa, in cui l’arte era il motore della vita sociale del Paese. Anni mirabili per molti versi, per altri, come si sa, decisamente meno. Ciononostante, possiamo solo che invidiare nostalgicamente quel periodo, poiché ormai viviamo nella “Repubblica del Nulla”, dove la Cultura è vista con ostilità. Ciarlano i sapientoni della accademia di sinistra, da Montanari a Settis, passando per Canfora e Rodotà; inneggiando a quella Costituzione in dissoluzione che la storia ha dimostrato essere una “scatola vuota”, tante superbe parole impresse su carta e basta. Quegli anni ’30, perfettamente incarnati dalla Quadriennale, restano invece, grazie a un portato di Bellezza che, mostra dopo mostra, sta rendendo le continue roboanti riflessioni antifasciste dell’intellighenzia ufficiale sempre più anacronistiche e, cosa ancor peggiore, palesemente faziose.
Infine, una utile segnalazione: la conclusione della mostra coinciderà con l’apertura della 16° Quadriennale al Palazzo delle Esposizioni da ottobre 2016 a gennaio 2017.